Cultura
Alfio Bellarmino, il Maestro di musica dimenticato: brillò in Italia e all’estero
Nato a Biancavilla nel 1891, fu un compositore poliedrico che spaziò dall’operetta alla musica sacra
Il sipario di questo racconto si alza su un’epoca in cui la melodia e il bel canto erano il cuore pulsante dell’intrattenimento. Al centro del palco un nome che, ai suoi tempi, risuonava tra i teatri e le sale da concerto: Alfio Bellarmino. Oggi, purtroppo, il suo è un nome che non ci dice più nulla, quasi un’ombra persa nel grande archivio della storia musicale. Eppure, questo Maestro, nato a Biancavilla e formatosi a Catania, fu un compositore poliedrico che spaziò dalla leggerezza dell’operetta alla solennità della musica sacra. Su Biancavilla Oggi ne tracciamo il profilo.
Una carriera tra acclamazioni
La sua carriera artistica prese il volo nel mondo dell’Operetta, un genere in cui la sua maestria lo elevò rapidamente tra le figure più richieste dell’epoca. Molto apprezzato tra la Lombardia e la lontana Jugoslavia, il suo primo trionfo arrivò nel 1918 con l’operetta in tre atti, La pianella. Fu un successo clamoroso che ebbe luogo nel piccolo Teatro Comunale di Albonese, in provincia di Pavia, dove l’opera fu replicata per ben dieci serate consecutive.
Albonese divenne il suo trampolino di lancio: qui replicò l’identico successo con la successiva Cinesina, sempre in tre atti. Questi successi diedero a Bellarmino la spinta per un’importante produzione musicale che risultò determinante per il proprio futuro. Nacquero così, quasi di getto, altre operette che lo portarono in giro per l’Italia e oltre: Suzy rappresentata a Trieste, Renato da Prignol nell’allora Pisino (Croazia), Ventaglio rosa ancora ad Albonese e l’atto unico Cip cip a Trieste.
Ma la sua vena artistica lo spinse oltre al teatro leggero. Presto, nel cammino verso la maturità, emerse in lui la necessità di esplorare orizzonti più vasti, quelli dell’Opera e della Musica Sacra. La sua attività si fece senza soste, spaziando dalla musica da camera, alla romanza, dai quartetti per archi alle composizioni per Banda.
In Istria la sua prima opera lirica
Il 1924 segnò una svolta. A Parenzo, in Istria, andò in scena Eufrasia, la sua prima opera lirica, subito acclamata dalla critica come uno dei suoi capolavori. Questo fu l’inizio di una serie di composizioni di alto profilo, tra cui l’opera La notte di Suleica e soprattutto il poema sinfonico Cristhus (1926), che inaugurò la sua lunga e sentita produzione di opere dedicate alle Sante Agata, Venera, Lucia e Cecilia.
Quest’ultima, Cecilia, fu rappresentata per la prima volta (1946) a Catania presso il Teatro Sangiorgi, successivamente (1948) al Teatro Massimo Bellini. Mentre Lucia, la cui prima esecuzione avvenne presso la monumentale chiesa di San Nicolò l’Arena (1926), fu riproposta dopo molti anni presso la chiesa dei Minoriti (1960) ed eseguita dall’Orchestra del Teatro Massimo Bellini, diretta per l’occasione dallo stesso Bellarmino.
Direttore del Corpo Musicale Civico di Catania
Nel 1951 viene nominato, dall’amministrazione comunale catanese, direttore del Corpo Musicale Civico di Catania. Il Maestro di origini biancavillesi raccoglie, così, un’importante eredità lasciata dagli illustri predecessori: Domenico Barreca, Giovanni Pennacchio e Antonio D’Elia, oggi ricordati tra le più autorevoli personalità che fanno parte della storia della banda musicale in Italia.
Alla direzione del Corpo Musicale Civico catanese, Bellarmino ebbe l’opportunità di eseguire due sinfonie da lui stesso composte: Il Trionfo di Cesare e la Sinfonia dell’Ottocento, eseguite al Giardino Bellini di Catania. Nonostante l’impegno profuso, quella del Maestro fu un’esperienza breve e segnata, pare, da incomprensioni che lo costrinsero a lasciare dopo soli tre anni.
Per Bellarmino, non fu l’unica esperienza alla direzione di un complesso bandistico: diresse, per un periodo imprecisato di tempo, anche la Banda Musicale di Trecastagni, città in cui egli stesso aveva residenza.
«Quell’aria bonariamente austera…»
Nell’ultima parte della sua vita, pur rifiutando l’ambita direzione della Filarmonica “La Valletta” di Malta, Bellarmino scelse di dedicarsi interamente alla didattica, conseguendo la cattedra di musica e canto. Fu nell’insegnamento che spese gli ultimi anni di vita, fino alla sua scomparsa che avvenne nel maggio del 1969.
Quando fu commemorato presso l’Istituto “Turrisi Colonna”, dove aveva insegnato per anni, i suoi allievi ne ricordarono non solo l’indubbia preparazione, ma anche l’innata signorilità: «Quell’aria bonariamente austera da cui trasparivano i tratti nobiliari dell’antico lignaggio». Le sue spoglie mortali riposano presso il cimitero comunale di Trecastagni. La lapide recita così: “Grande Ufficiale Conte M° Alfio Bellarmino – 3 febbraio 1891 – 28 maggio 1969”. Alfio Bellarmino non fu solo un compositore; fu un ponte tra generi: il brillante e il sacro, che hanno caratterizzato una ricca produzione artistica che oggi attende solo di essere riscoperta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Cultura
Santa Lucia, le radici della devozione a Biancavilla nel cuore di dicembre
Un dipinto ottocentesco, una statua, i “carannuli”: il luogo del culto era la chiesa di Sant’Orsola
Nel cuore di dicembre si celebrano i cosiddetti “santi della luce”. Tra questi spicca Santa Lucia, martire siracusana del IV secolo, da secoli invocata come patrona della vista e protettrice degli occhi. A Biancavilla la memoria di Lucia non si limita all’ambito strettamente religioso, ma intreccia elementi di cultura contadina e antiche osservazioni meteorologiche.
Le famose carannuli di Santa Lucia – le calendule – costituivano un vero e proprio calendario popolare: si osservavano con attenzione i dodici giorni precedenti la festa della Santa, oppure quelli compresi tra il 13 dicembre e il Natale, traendone auspici sul clima e sugli avvenimenti dei dodici mesi dell’anno successivo. Non a caso un detto locale diceva: «Di Lucia a Natali, dudici iorna a cuntari».
Il culto nella chiesa di Sant’Orsola
La devozione biancavillese trovava il suo centro nella chiesetta di Sant’Orsola, dove un pregevole dipinto ottocentesco di Giacomo Portale, commissionato da Vincenzo Raspagliesi, raffigura il martirio della Santa. Accanto alla tela si custodiva una statua più semplice, esposta ogni dicembre sull’altare maggiore e ricoperta di ex voto: gioielli, medaglie, soprattutto placche d’argento a forma di occhi, segni tangibili delle grazie ricevute.
Un tempo, nel giorno della festa, la chiesa si riempiva di fedeli che portavano fiori, candele e offerte votive. Alcuni compivano a piedi scalzi il viaggio devozionale per chiedere protezione o ringraziare per miracoli ottenuti, principalmente in caso di malattie oculari. Una religiosità intensa, fatta di gesti semplici ma profondi, purtroppo adesso quasi scomparsa.
Santa Lucia, tra luce e memoria
Dal 2001, in seguito alla dichiarazione di inagibilità della chiesa di Sant’Orsola, opere e suppellettili sono state trasferite principalmente nella Chiesa Madre, dove la festa viene attualmente celebrata. Tra le tradizioni recuperate negli ultimi anni vi è la suggestiva benedizione degli occhi, segno di continuità con il passato e di rinnovata attenzione verso un culto che merita di essere preservato.
A ricordare la devozione di un tempo, una giaculatoria popolare, recitata per generazioni, dice così:
Virginedda gluriusa,
di Gesù siti la spusa.
L’occhi vostri supra ’i mia,
viva viva Santa Lucia.
La figura di Lucia, così profondamente legata alla luce, diventa a Biancavilla un ponte simbolico tra antichi culti solstiziali, tradizioni contadine e fede cristiana. In un periodo dell’anno in cui il sole sembra morire per rinascere, la Santa siracusana ricorda che la luce torna sempre, spesso guidata da gesti umili e da una devozione capace di attraversare le epoche.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Cultura
La statua misteriosa ritrovata in basilica che rievoca San Nicola e… Santa Claus
Dalla scoperta sensazionale del 2015 alla figura del vescovo da cui trae origine il folklore di Babbo Natale
A dicembre, quando l’autunno inoltrato porta con sé l’odore della legna bruciata e un freddo che preannuncia il Natale, riaffiorano antiche memorie. Tra queste, a Biancavilla, sopravvive appena il ricordo di San Nicola, santo un tempo venerato e oggi quasi inghiottito dall’oblio.
Eppure, scavando fra tradizioni locali e frammenti della nostra storia, affiorano tracce inattese, capaci di risvegliare un culto assopito. Lo spunto ce lo dà la scoperta sensazionale nel novembre 2015, avvenuta nella basilica di Biancavilla. Una statua dentro un’altra, che ci rimanda a San Nicola di Mira, figura da cui l’immaginario ha creato… Santa Claus e il nostro Babbo Natale. Come è piccolo il mondo. Una storia da leggere e raccontare.
Una statua nella statua
Il mistero si accese quando la statua in cartapesta di un altro santo, San Biagio, venne portata nel laboratorio della ditta Calvagna di Aci Sant’Antonio per un intervento di restauro, finanziato da Antonio Zappalà, biancavillese legato per tradizione familiare al santo taumaturgo. I lavori sembravano ordinari, ma il restauratore – con meraviglia – si accorse che all’interno del simulacro si nascondeva un’altra statua. Le immagini di quello svelamento furono pubblicate da Biancavilla Oggi e le riproponiamo nel video sopra.
Da quel momento prese avvio un delicato processo di separazione delle due opere. Fu smontata con pazienza la figura di San Biagio, ricomponendola in seguito, per liberare l’immagine ignota celata al suo interno: un simulacro ligneo privo di braccia e volto, bisognoso di studio e identificazione.
Dopo quasi tre anni di analisi e restauro, conclusi nell’agosto 2016, quella figura mutila assunse nuovamente fattezze umane. Le parti mancanti furono ricostruite con elementi mobili e gli studiosi giunsero a un’ipotesi sorprendente: la statua era con ogni probabilità dedicata a San Nicola di Mira.
Quell’indizio del XVII secolo
L’interpretazione trovò sostegno in un documento antico. Nella visita pastorale del 1602 compiuta a Biancavilla, infatti, compare l’inventario di una «imago S. Nicolai noviter constructa…», una «immagine di San Nicola da poco costruita».
Che fosse proprio quella ritrovata nel 2015 dentro il simulacro di San Biagio? Alcuni elementi sembrano suggerirlo, mentre altri aprono a scenari diversi, forse legati a un’altra devozione ormai scomparsa. Il mistero, come spesso accade nella storia locale, rimane affascinante e aperto.
Il Santo divenuto il volto del Natale
San Nicola di Mira, vissuto tra III e IV secolo, è una figura chiave dell’immaginario cristiano e popolare. È da lui che trae origine la metamorfosi folklorica del moderno Santa Claus, divenuto in Italia “Babbo Natale”. La leggenda racconta che il vescovo Nicola, per salvare tre fanciulle povere dal destino della prostituzione, portò di nascosto alla loro casa sacchi di viveri e denaro. Questo gesto di carità gettò il seme della tradizione dei doni natalizi.
La diffusione dell’immagine attuale, l’anziano barbuto e paffutello vestito di rosso, risale al poema A Visit from St. Nicholas (1821) di Clement C. Moore, divenuto poi un’icona planetaria.
San Nicola è patrono di bambini, marinai, nubili, viaggiatori, prigionieri e di chiunque invochi protezione nelle necessità. La sua festa del 6 dicembre, che anticipa il Natale, è celebrata ancora in diversi comuni dell’area etnea.
San Nicola e la supplica a Biancavilla
A Biancavilla, invece, il suo culto sopravvive oggi solo nei ricordi e in qualche tenue traccia culturale. Fra queste, rimane una piccola, preziosa testimonianza: una preghiera popolare, un tempo recitata dalle giovani in cerca di marito, che conserva l’aroma della devozione spontanea:
San Nicola gluriusu,
preju a vui di cca jusu;
jù mi vogghiu maritari,
pirchì sula nan pozzu stari.
Vui sta razia m’ata a fari,
prestu m’ata cunsulari.
La parola mia è sincera,
ascutati sta priera.
Lu ma cori cunsulati,
ccu la vostra caritati.
Una supplica semplice e genuina, che rivela quanto profondamente il santo fosse radicato nella cultura affettiva del paese.
Il ritrovamento del simulacro ligneo, sottratto al silenzio della sua prigione di cartapesta ed esposto dopo l’intervento di restaurato nell’agosto 2018, potrebbe rappresentare l’occasione per riflettere sull’antica presenza di San Nicola a Biancavilla. A volte è proprio ciò che viene alla luce per caso a rivelare ciò che una comunità ha dimenticato di sé.
Tra storia, fede e mistero, la figura del santo torna così ad affacciarsi nella memoria collettiva: forse non per reclamare un culto, ma per ricordare che la tradizione è fatta di segni nascosti, affidati alla cura di chi li sa ascoltare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
-
Storie2 settimane agoAddio ad Aurora, morta a 15 anni: la commovente lettera di una compagna
-
Storie3 settimane agoBiancavilla, novembre 1957: cronaca di quel duplice femminicidio alla stazione
-
Cronaca2 settimane agoOmicidio Andolfi, per il giudice fu legittima difesa: 6 anni a Santangelo
-
News3 settimane agoL’omaggio artistico di Luca Arena: un murale dedicato a Valentina Salamone



