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Cultura

Quando si arriva “a trappa a trappa”: un’espressione del lessico venatorio

Viaggio alle origini di una locuzione che, tra cacciatori e segugi, ci porta fino alle zone germaniche

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Parliamo di un modo di dire che a Biancavilla è senz’altro conosciuto e usato. Si tratta della locuzione avverbiale â ṭṛappa â ṭṛappa col significato di “a tentoni”, “quatto quatto”, usata spesso in frasi come caminari â ṭṛappa â ṭṛappa “camminare a tentoni”, rrivari â ṭṛappa â ṭṛappa “arrivare quatto quatto, di soppiatto”. In un suo libro del 2015 (Così parlò biancavillotu mio nonno), Pippo Ventura ci chiarisce che l’espressione indica «il modo di procedere nel buio, mettendo le mani avanti per non urtare contro un eventuale ostacolo: la capocciata!».

Consultando il Vocabolario Siciliano, veniamo a conoscere altre varianti e altri significati diffusi qua e là in Sicilia: â ṭṛappa ṭṛappa, a la ṭṛappa a la ṭṛappa, ê ṭṛappi ṭṛappi, a li ṭṛappi ṭṛappi a) “di corsa”; b) “pian piano, con comodo”; c) “frettolosamente”; d) “a grandi passi”; e) “al trotto”; f) “disordinatamente”… e altri che vedremo dopo.

Parlando ancora della diffusione, la locuzione è usata nel calabrese meridionale trappu trappu e centro meridionale trappa trappa “piano piano, lemme lemme”, mentre nel calabrese settentrionale troviamo l’aggettivo trappu “tardo a muoversi, pigro”. Ed ecco un canto popolare calabrese:

Lu zzappaturi zzappa zzappa,

dinari ’nta la pezza ma ’ndi ’ngruppa,

la sira si ricogghi trappa trappa:

apri, mugghieri mia, su’ fattu stuppa!

Quanto all’origine, il Dizionario etimologico italiano (DEI) di Battisti e Alessio considera il cal. trappu un prestito del francese antico trape “atticciato, tozzo, grosso e corto”. Si tratta di una spiegazione che ci lascia insoddisfatti dal punto di vista semantico. Tornando al Vocabolario Siciliano, possiamo notare che ṭṛappa, prima di diventare una locuzione avverbiale è stato un nome che i cacciatori usavano per indicare “l’orma o la traccia lasciate dalla preda”. Così, troviamo diverse espressioni di ambito venatorio, come a) iri a li ṭṛappi “seguire un’orma” e “seguire, tener dietro, nel muoversi”; b) annari a li ṭṛappi “investigare seguendo degli indizi”; c) iri a li ṭṛappi  ṭṛappi “seguire qualcuno”, e specialmente “lentamente e da lontano”; e infine d) la locuzione avverbiale ṭṛappi ṭṛappi “stando sulle orme” e “passo passo”.

In altre parole, il camminare tentoni o lemme lemme o di soppiatto corrisponde a un seguire le tracce da parte del cacciatore o del segugio. Dal nome deriva il verbo ṭṛappari, registrato a Bronte col significato di “camminare a tentoni” e da questo ṭṛappïari “codiare, seguire dappresso un selvatico, del cane” e “pedinare, spiare”. Dal verbo di nuovo il nome ṭṛappiatina “scalpiccio, calpestio”, “pedata, passo, rumore prodotto dal passo” e, infine, ‘scalpitio del cavallo’.

Su queste basi è degna di nota la proposta avanzata dal Gioeni, nel suo Saggio di etimologie siciliane (1885), secondo cui ṭṛappa «la pedata, l’orma delle fiere» deriva dal tedesco trappe «termine di caccia, orma, pedata, traccia». Dal nome il verbo trappen “scalpitare”. La perfetta corrispondenza tra il modello tedesco e la replica siciliana del prestito non dovrebbe lasciare dubbi. Tuttavia è bene precisare che i prestiti germanici nel siciliano sono di norma mediati dal francese oppure da qualche dialetto galloitalico dell’Italia settentrionale. Ma sulla base delle conoscenze attuali non abbiamo testimonianza di eventuali mediazioni. La ricerca dunque continua…

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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1 Comment

1 Comment

  1. Alfio Pelleriti

    26 Aprile 2023 at 23:22

    Il dizionario di Traina alla voce “Trappa” rimanda a “Fatta” e al penultimo significato tra quelli presentati, indica “presso i cacciatori è la pedata, l’orma delle fiere: traccia”.
    Rimanda anche ad “arrastiari”: “andare i cacciatori dietro l’orma della fiera per rintracciarla: ormare”.
    Io ricordo che si associava all’espressione “a trappa a trappa” il significato di “pian piano, con fatica”.

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Cultura

«Il Palazzo Portale sia acquistato dal Comune per esporre gli antichi reperti»

Proposta dell’associazione “Biancavilla Documenti” indirizzata all’amministrazione Bonanno

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L’associazione culturale “Biancavilla Documenti” ha presentato una proposta al Comune affinché valuti l’acquisto del piano nobile del Palazzo Portale, attualmente messo in vendita (con il giardino) dagli eredi a 800mila euro, con l’obiettivo di destinarlo a sede museale per accogliere la collezione archeologica appartenuta al canonico Salvatore Portal (1789–1854).

La proposta è firmata dal presidente Antonio Zappalà e dal segretario Salvuccio Furnari. L’invito all’amministrazione comunale è a verificare la congruità del prezzo dell’immobile per un’eventuale acquisizione al patrimonio comunale.

Secondo l’associazione, il Palazzo Portale — edificio di alto pregio architettonico situato nella centrale piazza Roma e dotato di uno spazio verde esterno — rappresenterebbe la sede più appropriata e storicamente significativa per ospitare i reperti del celebre abate biancavillese. In passato, infatti, proprio in quell’area era stato allestito l’antico orto botanico creato dallo stesso Portal, noto non solo come ecclesiastico, ma anche come naturalista e ricercatore scientifico.

La collezione archeologica

L’intera collezione di vasi, anfore, ceramiche, terrecotte e altri reperti raccolti da Portal è, grazie alla disponibilità degli eredi, destinata a Villa delle Favare per farne il primo museo civico.

«Riteniamo che il Palazzo Portale – si legge nella nota dell’associazione – sia la sede ideale, storicamente appropriata e legata familiarmente al nostro Portal, ricercatore e scienziato. È quindi il luogo più idoneo per l’allocazione e l’allestimento di un museo che custodisca la pregiata collezione».

L’associazione sottolinea, inoltre, che è ancora in corso l’iter per il riconoscimento giuridico e la definizione delle modalità operative legate alla tutela, alla donazione e alla futura fruizione pubblica dei reperti. Con questa iniziativa, “Biancavilla Documenti” intende stimolare una riflessione sul valore culturale e identitario della figura del canonico Portal e sulla necessità di conservare e valorizzare la sua eredità in uno spazio che ne rappresenti la memoria storica e scientifica.

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Cultura

“Nella mente dei briganti”, incontro in Accademia sul libro di Filadelfio Grasso

La storia analizzata con gli strumenti della psicologia sociale nel volume “Nero su Bianco Edizioni”

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Chi furono i briganti? Uomini comuni, eroi, combattenti romantici e dai sentimenti nobili oppure uomini spietati, sanguinari e psicologicamente disturbati? Interrogativi su cui Filadelfio Grasso tenta di rispondere. Lo fa esplorando le radici del fenomeno, il contesto storico dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento, le dinamiche sociali e le condizioni economiche che spinsero uomini comuni a ribellarsi contro le ingiustizie, il modo in cui erano visti dalla comunità in cui vivevano.

Ne viene fuori una ricerca affascinante, racchiusa nel volume “Nella mente dei briganti”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Il brigantaggio siciliano analizzato con la lente della psicologia sociale. Un volume presentato alla numerosa platea dell’Accademia Universitaria Biancavillese. All’intervento della presidente Rosa Lanza, si sono affiancati quella dell’editore Vittorio Fiorenza e dello psicoterapeuta Alessio Leotta, che con l’autore hanno tratteggiato uno studio che si è avvalso di un approccio scientifico inedito.

«È come se Filadelfio Grasso – ha detto Fiorenza – avesse fatto sdraiare sul lettino dello psicoterapeuta quei personaggi, sottraendoli per un attimo a un passato controverso, e li avesse fatti parlare. Non per giustificare i loro atti, ma per comprendere gli aspetti emotivi e intimamente interiori che hanno dato origine al fenomeno del brigantaggio».

Briganti, dall’Etna al Simeto

Attraverso testimonianze e documenti, l’autore ha focalizzato l’attenzione su personaggi legati a Bronte, Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Paternò, Belpasso e Centuripe. Non soltanto banditi, ma anche personalità emblematiche, travolte dalla rabbia e dalla disperazione in un’Italia postunitaria segnata da ingiustizie e promesse disattese.

«Il brigantaggio post unitario – sottolinea Filadelfio Grasso – fu una forma di difesa da parte di chi vide un proprio diritto leso, calpestato. Fu una difesa da quelle che vennero considerate prevaricazioni. Ci si difese come fu possibile. La coesione, la ribellione e l’aggressività furono all’ordine del giorno. Alla scelta di conformarsi da parte di molti, si aggiunse da parte di tanti altri anche una evidente rinuncia sociale che si manifestò in una massiccia emigrazione verso terre lontane. Frustrazione, delusione e rabbia, unite al forte senso di deprivazione relativa, furono all’ origine del comportamento violento e aggressivo».

Un’opera che va oltre il freddo racconto dei fatti e che indaga il pensiero, le emozioni e le motivazioni interiori dei briganti, offrendo una nuova prospettiva su una delle pagine più controverse e complesse della storia italiana.

Le socie e i soci dell’Accademia Universitaria Biancavillese hanno poi animato un vivace e articolato dibattito con interventi sulle condizioni della Sicilia pre e postunitarie, sul ruolo di Garibaldi e dei Mille, sulle condizioni che il nuovo Regno impose alle popolazioni meridionali, sulla mancata suddivisione delle terre, sul clima di delusione per le speranze represse. Un contesto che ha generato quegli uomini, appellati “briganti”, che hanno preferito darsi alla macchia.

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