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Cento candeline per nonna Angela «Altruista con tempra d’altri tempi»

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© Foto Biancavilla Oggi

di VITTORIO FIORENZA

Ha problemi alla vista. E’ allettata. Ma la soddisfazione del traguardo dei 100 anni di età l’ha avuta. Angela D’Urso, classe 1914, festeggia oggi lo speciale compleanno. Lo fa circondata dall’insostituibile affetto della figlia, della nipote e dei pronipoti.

Torta con numero a tre cifre e spumante per brindare ad un secolo di vita. Gli acciacchi ci sono, certo. E i momenti di lucidità, a volte, mancano. Ma la tempra e la forza di nonna Angela sono quelli d’altri tempi.

Nata da famiglia contadina, quando ancora la Prima Guerra Mondiale non era scoppiata, l’anziana biancavillese ha dedicato la sua vita alla figlia e alla nipote, che porta il suo nome e che adesso ricambia l’affetto ricevuto, accudendo la nonna.

«In un percorso di vita così lungo –raccontano i parenti– non sono mancati sacrifici e dure prove, però zia Angela non si è mai persa d’animo e si è sempre rimboccata le maniche per la famiglia. Nei confronti di chi mostrava bisogno, non si è mai tirata indietro. Anzi, è stata disponibile ed altruista con tutti. E forse per questo il Signore l’ha premiata, regalandole la gioia di potere festeggiare i suoi 100 anni».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Biancavilla, novembre 1957: cronaca di quel duplice femminicidio alla stazione

“Biancavilla Oggi” ricorda il sacrificio di due sorelle cancellate dalla memoria e senza nessuna giustizia

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Elaborazione AI: Biancavilla Oggi / Grok (xAI)

Una pagina di cronaca cancellata dalla memoria collettiva. Quasi settant’anni fa un duplice femminicidio alla stazione della Circumetnea, affollata di viaggiatori, sconvolse Biancavilla. Otto colpi di pistola per un duplice femminicidio compiuto dalla mano di un marito ossessionato dalla gelosia. Una tragedia familiare, il 14 novembre del 1957, che ebbe eco sulla stampa nazionale.

Lui, l’assassino: un 37enne, vaccaro e custode di alcuni fondi agricoli. Le vittime: la moglie di 35 anni e sua sorella di due anni più piccola. Tutti originari del Messinese, ma vivevano a Biancavilla. Nonostante i cinque figli e i 17 anni di matrimonio (10 dei quali vissuti a Biancavilla), per la coppia non c’era pace. Liti continue, tensioni quotidiane. Lui convinto di essere tradito perché aveva sentito in paese che la moglie «era stata toccata». Ma lei respingeva quelle dicerie: tutto falso. Fino al brutale epilogo. La donna decise di andare via. Assieme alla sorella – venuta qualche settimana prima in suo aiuto «perché le cose si stavano mettendo male» – cercò di tornare nel suo paese natale. Un atto di ribellione alle angherie. Un gesto di coraggio e determinazione: qualità che ancora oggi mancano a tante vittime di maltrattamenti.

In attesa del treno, metafora di libertà

Così, le due sorelle si recarono alla stazione della Ferrovia Circumetnea con l’intenzione di prendere l’automotrice diretta a Randazzo e da lì raggiungere la provincia di Messina. «Stanca della vita di inferno che le faceva condurre il marito, aveva deciso di abbandonare per sempre il tetto coniugale e di tornare dai suoi familiari», riportò il quotidiano La Stampa. Un piano che l’uomo bloccò a revolverate. Precipitatosi in stazione in sella alla sua motocicletta, senza pronunciare parola, esplose una raffica di colpi: quattro freddarono la moglie mentre stava ritirando i biglietti di viaggio, due presero la cognata e altri due andarono a vuoto. Una morte istantanea, in attesa del treno, metafora di un tentativo di fuga verso la libertà.

Tornato nella sua abitazione, l’omicida raccontò tutto a una vicina: «Se volete vedere mia moglie e mia cognata morte, andate alla stazione. Se poi volete vedere anche il mio cadavere, entrate fra poco in casa mia». Barricatosi, si distese sul letto, sparandosi un colpo alla testa con l’ultima pallottola rimasta nell’arma. I carabinieri sfondarono la porta e, subito soccorso, l’uomo venne trasportato d’urgenza all’ospedale “Vittorio Emanuele” di Catania.

La giustizia della memoria

«La comunità rimane scossa da una tragedia maturata all’interno delle mura domestiche e degenerata in maniera irreparabile», scrisse il Corriere della Sera. Biancavilla (e la Sicilia) vivevano ancora nella cappa del patriarcato, del maschilismo e della sudditanza femminile, senza possibilità di giustizia per chi osasse alzare la testa. Che fine fece l’assassino? Se la cavò con qualche settimana di ospedale: gli fu estratta la pallottola conficcata sopra la mandibola, senza gravi conseguenze. A distanza di un anno dal duplice femminicidio, fu dichiarato totalmente infermo di mente e quindi non processabile. “Il vaccaro che uccise due donne per gelosia internato per dieci anni nel manicomio di Barcellona”, titolò il quotidiano La Sicilia. Sì, la fece franca perché “pazzo”, in un’epoca in cui il rimbombo delle parole “adulterio” e “delitto d’onore” avevano ancora un peso influente nelle aule di giustizia.

La radio trasmetteva i primi brani di un giovane “urlatore” Adriano Celentano, promessa della musica, e tutti a cantare Nel blu dipinto di blu, canzone vincitrice quell’anno del Festival di Sanremo, mentre lo strip-tease di Aïché Nana aveva appena inaugurato la Dolce vita. La ribellione giusta di una moglie sottomessa e il sacrificio suo e della sorella erano stati già dimenticati a Biancavilla. Non sappiamo il destino a cui andarono incontro i cinque figli della coppia. In questa Giornata contro la violenza sulle donne, Biancavilla Oggi vuole ricordare le vittime innocenti di quel delitto arcaico: uccise perché donne e non assoggettate alla prepotenza maschile. La giustizia della memoria, almeno quella, la dobbiamo loro riconoscere.

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Assalto in banca, i ricordi dei ragazzi di allora e la commozione dei familiari

Tante reazioni social alla rievocazione di “Biancavilla Oggi” su quella drammatica pagina di cronaca

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«Io ero piccolissima, ma ricordo ancora il rumore degli spari e per lungo tempo i fori dei proiettili sulle pareti esterne del negozio dei miei genitori»: lo scrive Nancy Sangiorgio. «Ero piccolo, andavo alla “Marconi” e non ci hanno fatto uscire dalla scuola», dice Giuseppe Pulvirenti. «Me lo ricordo benissimo e dopo tantissima attesa finì tutto bene», aggiunge Placido Tomasello. «Come se fosse ieri – prosegue Antonio Longo – il clamore per il nostro paese fu esorbitante». Sono alcuni dei pensieri di biancavillesi lasciati sulla pagina Facebook del nostro giornale.

Un tuffo nel passato. Una pagina di cronaca nera di 50 anni fa, fortunatamente senza gravi conseguenze. La rievocazione fatta da Biancavilla Oggi sugli eventi del 13 novembre 1975 ha suscitato molte reazioni social. In tanti, commentando il nostro articolo, sono riaffiorati ricordi di quella giornata, quando banditi a mano armata assaltarono la Banca di Credito, tenendo in ostaggio impiegati e clienti per 9 ore.

«Anche io mi ricordo di quella rapina – dice Angela Salamone – mio papà aveva una salumeria in via Vittorio Emanuele e quel giorno c’era un trambusto in tutta piazza Roma. Tiratori scelti sopra il Circolo Castriota, di fronte alla banca. Sono state ore di ansia per tutto il paese».

Strano e Carbone, carabinieri coraggiosi

A Biancavilla arrivarono alti ufficiali dei carabinieri e, appunto, anche tiratori scelti. Ma nella memoria collettiva, i protagonisti restano due: i carabinieri Salvatore Strano e Salvatore Carbone, che vediamo per la prima volta qui sopra, in uno scatto fotografico, mentre intervengono con pistole in pugno, uno a fianco all’altro. I due militari (ormai scomparsi) per primi intervennero con coraggio, al punto da avere poi un encomio solenne.

«Avevo 4 anni e – scrive Fabio Carbone, figlio del militare – ancora oggi, passati 50 anni, mi ricordo mio papà che durante la rapina era stato ferito per non essere investito dalla macchina dei complici. Sparò alle gomme, riuscendo a fermare uno dei malviventi. Stette fino alla sera, riuscendo ad arrestare un altro malvivente e porre fine alla “rapina del secolo”. Sono fiero di te, appuntato Carbone Salvatore… semplicemente papà. Riposa in pace ovunque tu sia».

«È un onore anche per tutta la nostra famiglia e – aggiunge Giuseppe Strano, figlio dell’altro carabiniere – sono lieto di questo riconoscimento anche dopo 5 anni dalla sua scomparsa, ma resterà sempre nei nostri cuori».

Altro ricordo, altra testimonianza di un familiare. «Io stavo tornando da scuola, quando arrivai a Biancavilla – scrive Carmelo Ricceri – seppi, già sul pullman, che stavano rapinando la Banca di Credito e preso in ostaggio gli impiegati insieme al direttore di banca (mio padre). Dopo, quando i banditi furono arrestati, si scoprì che erano dei poveri sventurati e sprovveduti. Chissà che fine hanno fatto».

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