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Cultura

Dall’arroganza del “ciaone” all’accusa di essere “sciauni” il passo è breve

Chi ricorda il tweet del deputato renziano per il mancato quorum al referendum sulle trivelle?

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Nel 2016, esattamente il 17 aprile, il rampante deputato renziano, Ernesto Carbone, derideva la minoranza dei cittadini italiani, uscita sconfitta dal referendum sulle trivelle, poiché non aveva raggiunto il quorum, con questo infelicissimo e arrogante tweet: «Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, per loro, l’importante è partecipare #ciaone». L’hashtag con cui si concludeva il tweet, #ciaone “nella lingua colloquiale, forma di saluto che esprime ironia o scherno”, derivato da ciao, da quel momento è circolato a lungo sui social, tanto da essere registrato come neologismo nei dizionari, ma, stando allo Zingarelli 2022, ciaone “grande e affettuoso ciao, come forma di saluto” e “(iron.) saluto di scherno a chi si sta separando da qualcuno o da un gruppo” è documentato dal 1936.

Se, tuttavia, dall’italiano passiamo alle tradizioni popolari, scopriamo che in Calabria c’era una cerimonia, chiamata ciaone, relativa all’ultimo giorno di Carnevale, in cui comitive di artigiani e di contadini andavano sotto le finestre a salutare gli amici, battendo le nocche su vasi di creta.

A Biancavilla uno zoticone, piuttosto scemo

Quest’ultima osservazione ci porta a indagare nei dialetti e scoprire, dopo la lettura di un articolo di Sebastiano Rizza (Ciaone: una voce zingarica nel dialetto di Trècchina (PZ)?), che a Biancavilla esiste una voce che si può associare a quella da cui siamo partiti e che può trovare quindi una spiegazione.

La parola in questione è sciaùni che significa sia “piuttosto scemo, fesso” sia “zoticone”, come nell’esempio: vìnniru ô maṭṛimòniu tutta a famigghja, si ssittaru senza salutari a-nnuḍḍu e-mmanciàru comu tanti sciaùna!

Più precisa la descrizione che ne fa la sempre preziosa Giuseppina Rasà: “di bocca larga, privo di buone maniere a tavola; goloso smodato”; sciauneḍḍa, secondo la sua vicina di casa, era, ad esempio, “una bambina cicciottella che divorava voracemente merendine di pane e zucchero”.  

Uno sconclusionato a Catania

A volte era usato per designare il passaggio da una condizione a un’altra … un parvenu affettato che prima aveva i modi da zoticone: ppi-cchiḍḍu era sciaùni e uora cchi-ssi senti! A Catania sciaùni si dice “di individuo sconclusionato, che parla a vanvera e si millanta”. Un’altra variante è  sciavuni “spaccone”, in area etnea orientale.

A queste voci se ne possono collegare altre provenienti dal gergo dei caminanti siciliani che, si ritiene, costituiscono una comunità ormai stanziale, considerata autoctona da alcuni studiosi, ovvero, secondo altri, l’ultima propaggine degli antichi Rom giunti in Sicilia nel XV secolo dalla penisola balcanica assieme ai profughi albanesi. Ecco di che si tratta: çiavuni “uomo non appartenente alla comunità dei caminanti”, çiavùna “donna non appartenente alla comunità dei caminanti”.

Rimandando all’articolo di Rizza per i confronti con voci gergali di altri dialetti, concordiamo con lo studioso sul fatto che il tipo sciaùni e var. possa essere un prestito del veneto-istriano s’ciavon, lett. “slavo(ne)”, usato, come nomignolo dispregiativo, dagli italiani d’Istria per indicare il ‘contadino’ o il ‘forestiero’.

A conferma di questa interpretazione, come scrive Rizza, la presenza degli schiavoni in Sicilia, è documentata, secondo Michele Amari, nella toponomastica: «E credo che in tal tempo l’armata e le genti slave fossero venute a svernare ogni anno in Palermo, e che parte ve ne rimanesse a mercatare dopo la partenza di Sâin; poichè il rione più grosso della città, contiguo al porto, si addimandò il Quartiere degli Slavi».

“Slavus” come punto di partenza

Detto in altre parole, sciaùni dal punto di vista etimologico corrisponde a schiavone, a sua volta da slavone, abitante della Slavonia, e in ultima analisi al grecismo latino SLAVUS, che, attraverso SCLAVUS, ha dato s’ciavo, sciavo, nei dialetti nord-orientali, da cui l’it. ciao e poi ciaone, schiavo nell’italiano, scavu nel siciliano.

Questo spiega perché il nostro sciaùni non deriva da scavu (scavuni, infatti, esiste, ma è il nome di un’anatra, il moriglione), ma, come abbiamo detto dal veneto-istriano sciavone. D’altra parte, se il siciliano non conosce la variante settentrionale sciavo, ha conservato, forse come prestito, il derivato sciavazza “donnaccia, sgualdrina” e “persona che parla a vanvera e si millanta”.

Per tornare al “saluto” da cui siamo partiti, ciaone e sciaùni, condividono lo stesso punto di partenza, l’etnico lat. Slavus “Slavo”, dal gr. Slàbos, ma i derivati hanno avuto sorti diverse e si sono specializzati in significati diversi: l’it. ciaone ha subito la trasformazione da etnico in saluto, mentre il ven.-istr. s’ciaone ha evoluto il suo significato in “contadino”, “forestiero” e infine, nel sic. “zoticone”, come appunto dovevano apparire i contadini, i forestieri, schiavoni in particolare, agli occhi delle classi più agiate.

PER SAPERNE DI PIU’

“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia

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Cultura

«Il Palazzo Portale sia acquistato dal Comune per esporre gli antichi reperti»

Proposta dell’associazione “Biancavilla Documenti” indirizzata all’amministrazione Bonanno

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L’associazione culturale “Biancavilla Documenti” ha presentato una proposta al Comune affinché valuti l’acquisto del piano nobile del Palazzo Portale, attualmente messo in vendita (con il giardino) dagli eredi a 800mila euro, con l’obiettivo di destinarlo a sede museale per accogliere la collezione archeologica appartenuta al canonico Salvatore Portal (1789–1854).

La proposta è firmata dal presidente Antonio Zappalà e dal segretario Salvuccio Furnari. L’invito all’amministrazione comunale è a verificare la congruità del prezzo dell’immobile per un’eventuale acquisizione al patrimonio comunale.

Secondo l’associazione, il Palazzo Portale — edificio di alto pregio architettonico situato nella centrale piazza Roma e dotato di uno spazio verde esterno — rappresenterebbe la sede più appropriata e storicamente significativa per ospitare i reperti del celebre abate biancavillese. In passato, infatti, proprio in quell’area era stato allestito l’antico orto botanico creato dallo stesso Portal, noto non solo come ecclesiastico, ma anche come naturalista e ricercatore scientifico.

La collezione archeologica

L’intera collezione di vasi, anfore, ceramiche, terrecotte e altri reperti raccolti da Portal è, grazie alla disponibilità degli eredi, destinata a Villa delle Favare per farne il primo museo civico.

«Riteniamo che il Palazzo Portale – si legge nella nota dell’associazione – sia la sede ideale, storicamente appropriata e legata familiarmente al nostro Portal, ricercatore e scienziato. È quindi il luogo più idoneo per l’allocazione e l’allestimento di un museo che custodisca la pregiata collezione».

L’associazione sottolinea, inoltre, che è ancora in corso l’iter per il riconoscimento giuridico e la definizione delle modalità operative legate alla tutela, alla donazione e alla futura fruizione pubblica dei reperti. Con questa iniziativa, “Biancavilla Documenti” intende stimolare una riflessione sul valore culturale e identitario della figura del canonico Portal e sulla necessità di conservare e valorizzare la sua eredità in uno spazio che ne rappresenti la memoria storica e scientifica.

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Cultura

“Nella mente dei briganti”, incontro in Accademia sul libro di Filadelfio Grasso

La storia analizzata con gli strumenti della psicologia sociale nel volume “Nero su Bianco Edizioni”

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Chi furono i briganti? Uomini comuni, eroi, combattenti romantici e dai sentimenti nobili oppure uomini spietati, sanguinari e psicologicamente disturbati? Interrogativi su cui Filadelfio Grasso tenta di rispondere. Lo fa esplorando le radici del fenomeno, il contesto storico dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento, le dinamiche sociali e le condizioni economiche che spinsero uomini comuni a ribellarsi contro le ingiustizie, il modo in cui erano visti dalla comunità in cui vivevano.

Ne viene fuori una ricerca affascinante, racchiusa nel volume “Nella mente dei briganti”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Il brigantaggio siciliano analizzato con la lente della psicologia sociale. Un volume presentato alla numerosa platea dell’Accademia Universitaria Biancavillese. All’intervento della presidente Rosa Lanza, si sono affiancati quella dell’editore Vittorio Fiorenza e dello psicoterapeuta Alessio Leotta, che con l’autore hanno tratteggiato uno studio che si è avvalso di un approccio scientifico inedito.

«È come se Filadelfio Grasso – ha detto Fiorenza – avesse fatto sdraiare sul lettino dello psicoterapeuta quei personaggi, sottraendoli per un attimo a un passato controverso, e li avesse fatti parlare. Non per giustificare i loro atti, ma per comprendere gli aspetti emotivi e intimamente interiori che hanno dato origine al fenomeno del brigantaggio».

Briganti, dall’Etna al Simeto

Attraverso testimonianze e documenti, l’autore ha focalizzato l’attenzione su personaggi legati a Bronte, Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Paternò, Belpasso e Centuripe. Non soltanto banditi, ma anche personalità emblematiche, travolte dalla rabbia e dalla disperazione in un’Italia postunitaria segnata da ingiustizie e promesse disattese.

«Il brigantaggio post unitario – sottolinea Filadelfio Grasso – fu una forma di difesa da parte di chi vide un proprio diritto leso, calpestato. Fu una difesa da quelle che vennero considerate prevaricazioni. Ci si difese come fu possibile. La coesione, la ribellione e l’aggressività furono all’ordine del giorno. Alla scelta di conformarsi da parte di molti, si aggiunse da parte di tanti altri anche una evidente rinuncia sociale che si manifestò in una massiccia emigrazione verso terre lontane. Frustrazione, delusione e rabbia, unite al forte senso di deprivazione relativa, furono all’ origine del comportamento violento e aggressivo».

Un’opera che va oltre il freddo racconto dei fatti e che indaga il pensiero, le emozioni e le motivazioni interiori dei briganti, offrendo una nuova prospettiva su una delle pagine più controverse e complesse della storia italiana.

Le socie e i soci dell’Accademia Universitaria Biancavillese hanno poi animato un vivace e articolato dibattito con interventi sulle condizioni della Sicilia pre e postunitarie, sul ruolo di Garibaldi e dei Mille, sulle condizioni che il nuovo Regno impose alle popolazioni meridionali, sulla mancata suddivisione delle terre, sul clima di delusione per le speranze represse. Un contesto che ha generato quegli uomini, appellati “briganti”, che hanno preferito darsi alla macchia.

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