Cultura
“Casèntaru / casèntulu”: un antico nome greco e quell’elogio erotico ad Antonia
Un termine per indicare il lombrico, usato – tra gli altri – dal poeta catanese Domenico Tempio

Sul n. 19 del 9 maggio 1926 del «Corriere dei piccoli» o «Corrierino», veniva pubblicato un racconto della scrittrice palermitana Maria Messina, dal titolo La storia del “casentaro”, che narra di come un lombrico abbia accumulato abbondanti scorte in una buca dove però non è più tornato, forse perché era morto … Come si sarà capito, il «casentaro» del racconto è il lombrico, e si tratta di una forma italianizzata del sic. casèntaru “id.” Nella forma siciliana, il nome è stato usato di recente nella prosa di Giovanni Accardo (Il diavolo d’estate, 2019):
«Si ti acchiappo ti scripentu comu un casentaru», lo minacciò, convinto davvero di avere davanti un verme da schiacciare.
A Biancavilla e in genere in aria orientale si conosce la variante casèntulu, forma usata, tra l’altro, dal poeta catanese Domenico Tempio sia ne La maldicenza sconfitta (1807/1808, I, 31, vv. 3-4):
Tra li poeti veru cazzaventulu,
L’Ingannu t’accecau comu un casentulu;
sia in un componimento erotico, Elogio d’una certa Antonia, dedicato a una prostituta, conosciuta con questo nome:
E fridda e piccula,
tutta aggruttata
comu casentulu
stava ammucciata.
All’uso metaforico di casèntulu da parte di Domenico Tempio sembra fare eco il modo di dire addivintari o fàrisi quantu n casèntulu, così spiegato da Michele Castagnola nella sua Fraseologia sicolo-toscana (1864): «restringersi per effetto di paura o per rigore di freddo – Allibire, o cagliare, diventare piccin piccino; raggrignare, o raggruzzarsi».
Dall’antico greco parlato in Sicilia
Per chi non lo sapesse, il lombrico è un anellide terrestre, utilissimo in agricoltura, perché, nutrendosi di terra che fa passare dal suo complesso apparato gastro-intestinale, produce un ottimo fertilizzate naturale e biologico, l’humus di lombrichi. I lombrichi vengono usati anche come esca per i pesci o per svezzare e allevare piccoli uccelli. Non siamo sicuri, invece, dei presunti benefici dei lombrichi nella cura degli animali (zooiatria). In un’opera di mascalcia (arte del maniscalco) del XV secolo, si legge, infatti, che i lombrichi, pestati, mescolati all’olio e cotti, venivano usati nella cura del suprosso dei cavalli: «et casentula pistata et cum oglu misitata, et cocti cussì caldi sianu misi supra lu supraossu».
Come abbiamo appena visto, nella mascalcia è si trova la variante femminile, casèntula, usata modernamente anche in un testo poetico di Nino De vita, U cuntu r’a casentula, che sembra fare da specchio, almeno nel titolo, al citato racconto di Maria Messina. In tema di revival del lessico tradizionale siciliano, è proprio il caso di citare il nome di un gruppo di musica popolare, I casentuli. Ma le varianti del tipo lessicale sono decine e decine, senza contare quelle calabresi o campane.
Come vedremo subito, la forma più vicina all’etimo è quella che abbiamo citato all’inizio, casèntaru, che deriva dallo strato più antico del greco parlato in Sicilia. Il nome, infatti, deriva dall’espressione γᾶς ἔντερον (gâs énteron), forma dorica corrispondente all’attico γῆς ἔντερον (ghês énteron), da intendersi come «budello della terra», in riferimento al continuo riempirsi di terra da parte del lombrico, che poi espelle insieme cogli escrementi, sicché a chi lo tronchi in due si presenta come un budello pieno di terra (T. Franceschi).
PER SAPERNE DI PIU’
“La Sicilia dei cento dialetti” di Alfio Lanaia
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Cultura
«Il Palazzo Portale sia acquistato dal Comune per esporre gli antichi reperti»
Proposta dell’associazione “Biancavilla Documenti” indirizzata all’amministrazione Bonanno
L’associazione culturale “Biancavilla Documenti” ha presentato una proposta al Comune affinché valuti l’acquisto del piano nobile del Palazzo Portale, attualmente messo in vendita (con il giardino) dagli eredi a 800mila euro, con l’obiettivo di destinarlo a sede museale per accogliere la collezione archeologica appartenuta al canonico Salvatore Portal (1789–1854).
La proposta è firmata dal presidente Antonio Zappalà e dal segretario Salvuccio Furnari. L’invito all’amministrazione comunale è a verificare la congruità del prezzo dell’immobile per un’eventuale acquisizione al patrimonio comunale.
Secondo l’associazione, il Palazzo Portale — edificio di alto pregio architettonico situato nella centrale piazza Roma e dotato di uno spazio verde esterno — rappresenterebbe la sede più appropriata e storicamente significativa per ospitare i reperti del celebre abate biancavillese. In passato, infatti, proprio in quell’area era stato allestito l’antico orto botanico creato dallo stesso Portal, noto non solo come ecclesiastico, ma anche come naturalista e ricercatore scientifico.
La collezione archeologica
L’intera collezione di vasi, anfore, ceramiche, terrecotte e altri reperti raccolti da Portal è, grazie alla disponibilità degli eredi, destinata a Villa delle Favare per farne il primo museo civico.
«Riteniamo che il Palazzo Portale – si legge nella nota dell’associazione – sia la sede ideale, storicamente appropriata e legata familiarmente al nostro Portal, ricercatore e scienziato. È quindi il luogo più idoneo per l’allocazione e l’allestimento di un museo che custodisca la pregiata collezione».
L’associazione sottolinea, inoltre, che è ancora in corso l’iter per il riconoscimento giuridico e la definizione delle modalità operative legate alla tutela, alla donazione e alla futura fruizione pubblica dei reperti. Con questa iniziativa, “Biancavilla Documenti” intende stimolare una riflessione sul valore culturale e identitario della figura del canonico Portal e sulla necessità di conservare e valorizzare la sua eredità in uno spazio che ne rappresenti la memoria storica e scientifica.
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Cultura
“Nella mente dei briganti”, incontro in Accademia sul libro di Filadelfio Grasso
La storia analizzata con gli strumenti della psicologia sociale nel volume “Nero su Bianco Edizioni”
Chi furono i briganti? Uomini comuni, eroi, combattenti romantici e dai sentimenti nobili oppure uomini spietati, sanguinari e psicologicamente disturbati? Interrogativi su cui Filadelfio Grasso tenta di rispondere. Lo fa esplorando le radici del fenomeno, il contesto storico dall’Unità d’Italia ai primi del Novecento, le dinamiche sociali e le condizioni economiche che spinsero uomini comuni a ribellarsi contro le ingiustizie, il modo in cui erano visti dalla comunità in cui vivevano.
Ne viene fuori una ricerca affascinante, racchiusa nel volume “Nella mente dei briganti”, pubblicato da Nero su Bianco Edizioni. Il brigantaggio siciliano analizzato con la lente della psicologia sociale. Un volume presentato alla numerosa platea dell’Accademia Universitaria Biancavillese. All’intervento della presidente Rosa Lanza, si sono affiancati quella dell’editore Vittorio Fiorenza e dello psicoterapeuta Alessio Leotta, che con l’autore hanno tratteggiato uno studio che si è avvalso di un approccio scientifico inedito.
«È come se Filadelfio Grasso – ha detto Fiorenza – avesse fatto sdraiare sul lettino dello psicoterapeuta quei personaggi, sottraendoli per un attimo a un passato controverso, e li avesse fatti parlare. Non per giustificare i loro atti, ma per comprendere gli aspetti emotivi e intimamente interiori che hanno dato origine al fenomeno del brigantaggio».
Briganti, dall’Etna al Simeto
Attraverso testimonianze e documenti, l’autore ha focalizzato l’attenzione su personaggi legati a Bronte, Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Paternò, Belpasso e Centuripe. Non soltanto banditi, ma anche personalità emblematiche, travolte dalla rabbia e dalla disperazione in un’Italia postunitaria segnata da ingiustizie e promesse disattese.
«Il brigantaggio post unitario – sottolinea Filadelfio Grasso – fu una forma di difesa da parte di chi vide un proprio diritto leso, calpestato. Fu una difesa da quelle che vennero considerate prevaricazioni. Ci si difese come fu possibile. La coesione, la ribellione e l’aggressività furono all’ordine del giorno. Alla scelta di conformarsi da parte di molti, si aggiunse da parte di tanti altri anche una evidente rinuncia sociale che si manifestò in una massiccia emigrazione verso terre lontane. Frustrazione, delusione e rabbia, unite al forte senso di deprivazione relativa, furono all’ origine del comportamento violento e aggressivo».
Un’opera che va oltre il freddo racconto dei fatti e che indaga il pensiero, le emozioni e le motivazioni interiori dei briganti, offrendo una nuova prospettiva su una delle pagine più controverse e complesse della storia italiana.
Le socie e i soci dell’Accademia Universitaria Biancavillese hanno poi animato un vivace e articolato dibattito con interventi sulle condizioni della Sicilia pre e postunitarie, sul ruolo di Garibaldi e dei Mille, sulle condizioni che il nuovo Regno impose alle popolazioni meridionali, sulla mancata suddivisione delle terre, sul clima di delusione per le speranze represse. Un contesto che ha generato quegli uomini, appellati “briganti”, che hanno preferito darsi alla macchia.

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