Biancavilla siamo noi
«I miei figli mi sono stati strappati, sono un padre invisibile ma vivo»
La lettera di un biancavillese sotto processo, tra gli ingranaggi della giustizia penale e civile

Gentile redazione di Biancavilla Oggi, vivo a Biancavilla e sono padre di due splendidi bambini. Oggi scrivo non da uomo accusato, ma da uomo calunniato. Non da colpevole, ma da vittima: sono stato falsamente denunciato dalla madre dei miei figli, su basi infondate, e arrestato. Attualmente, mi è stato imposto il divieto di avvicinamento alla persona che mi ha denunciato, ma non ai miei figli, come spesso si tende erroneamente a far credere. Eppure, da due anni non posso vederli. Non c’è un provvedimento che limiti la mia responsabilità genitoriale, ma nei fatti è come se io non esistessi più.
Il processo penale è in corso, e durerà anni. Nel frattempo, però, la giustizia civile sembra aver già deciso tutto: senza ascoltarmi, senza tener conto delle prove. Le uniche dichiarazioni considerate sono quelle della madre dei bambini, non supportate da elementi concreti, mentre nel fascicolo del Pubblico Ministero sono presenti molteplici dichiarazioni che smentiscono la sua versione.
Entrando in tribunale ho capito una cosa: per la giustizia civile, l’arresto è l’unica cosa che conta. Tutto il resto — prove, contraddizioni, documenti — viene ignorato. Nel frattempo, io non vedo i miei figli. Uno dei miei figli, minorenne, pare sia stato coinvolto in incontri con un centro antiviolenza. E mi chiedo: con l’autorizzazione di chi? Con il consenso di chi? Nessuno sembra porsi questa domanda, tranne il mio avvocato.
«Un dolore non solo mio»
Il mio dolore non è solo mio. I miei genitori, nonni amorevoli, non possono più avere contatti con i nipotini. Attraverso l’avv. Pilar Castiglia, che mi assiste in questa battaglia di verità prima ancora che di difesa, ho chiesto che venga valutato il condizionamento psicologico cui i bambini sono sottoposti. Ma nulla cambia. La madre, approfittando dei tempi assurdamente lunghi della giustizia, continua ad attuare un sistematico allontanamento emotivo dei miei figli nei miei confronti.
Il paradosso più grave? In sede civile, la madre ha chiesto — tramite il suo avvocato — la mia decadenza dalla responsabilità genitoriale. Ma in sede penale ha dichiarato di non sapere nulla di tale richiesta. Delle due l’una: o mente lei, o il suo avvocato ha agito a sua insaputa. Ma anche questo elemento, purtroppo, non interessa a nessuno.
C’è un altro aspetto che ritengo assurdo: ciò che accade in sede penale non ha alcun peso in sede civile, e viceversa. Le due giustizie procedono come mondi separati, mentre la mia vita e quella dei miei figli vengono spezzate nel mezzo.
Il legame con i miei bambini è stato reciso, non per mia volontà, ma a causa di una manipolazione continua. Non poterli abbracciare, non sentire le loro risate, non partecipare alla loro crescita — ciò che per altri è scontato, per me è un sogno che sembra irraggiungibile.
«Mi mancano i “ti voglio bene”»
Ogni “ti voglio bene” non detto pesa come un macigno. Ogni giorno lontano è un giorno perso per sempre. Le uova di Pasqua che avevo donato ai miei figli sono state gettate nella spazzatura. Ho le foto delle uova buttate per strada e le ho depositate in tribunale, ma nulla.
Le chat affettuose che faticosamente i miei familiari ed io abbiamo ripreso con mio figlio, si interrompono misteriosamente ogni volta prima di un’udienza o di un colloquio con il curatore speciale. Mia figlia, che mi mandava cuoricini sui social, mi ha bloccato proprio dopo un’udienza in cui si è parlato dei suoi timidi tentativi di riallacciare i contatti con me e con i nonni. È un caso o qualcuno le ha riferito di quanto è stato discusso in udienza?
Sono disperato all’idea che non proverò più la gioia di ricevere quei piccoli cuori che mi davano la forza di resistere. Ed è pure un caso che mio figlio mi ha rimproverato in chat di avere trattenuto l’assegno unico? Al di là del fatto che ciò non è assolutamente vero, ma perché mio figlio viene messo a conoscenza di questioni di cui non dovrebbe sapere nulla? Non è anche questo un modo per manipolarlo e mettermelo contro?
«Che giustizia è?»
So che verrà il momento in cui sarò assolto. Le prove ci sono. Documenti, registrazioni, contraddizioni smascherate durante il controesame della controparte. Ma che valore avrà un’assoluzione fra tre o quattro anni, se nel frattempo avrò perso i miei figli?
Che giustizia è quella che — solo sulla base di tre pagine di denuncia prive di allegati e testimoni — decide per la vita mia e quella dei miei bambini? Che giustizia è quella che mi punisce in anticipo, consentendo alla madre di non farmi incontrare i miei bambini, prima ancora di un giudizio, mentre i miei figli vengono strappati alla mia presenza con lentezza crudele?
Le false denunce sono una ferita inferta anche alla battaglia contro la violenza vera, quella che va riconosciuta, fermata, e punita con forza. Io chiedo solo una cosa: che questa mia voce arrivi ai miei figli. Perché sappiano che il loro papà ha lottato. Lotta ancora. E continuerà a farlo. Perché il legame tra un padre e i suoi figli non può essere cancellato da una denuncia falsa, da un sistema cieco, da una giustizia sorda. Con speranza e resistenza. Un padre invisibile, ma vivo.
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Biancavilla siamo noi
«Una montagnetta di rifiuti cresce in via Fallica, ma nessuno se ne accorge?»
Ci scrive un nostro lettore: «Trasformare una via cittadina in discarica denota stupidità e ottusità»

È vero che, il Meridione tutto, non brilla per civiltà e pulizia, quasi sempre per colpa di pochi individui, ma trasformare una via cittadina in una discarica a cielo aperto, denota anche stupidità e ottusità mentale, fra l’altro commettendo un “illecito amministrativo e penale”, che dovrebbe essere sanzionato dalle autorità competenti, qualora fossero attenti a quello che succede per le vie cittadine.
In via Fallica, precisamente dove interseca via Chieti, esiste , oramai da qualche mese, e non è la prima volta, una montagnetta di sacchi di rifiuti che cresce a vista d’occhio. Accanto ad essa, poco sopra, un grosso furgone giace parcheggiato da mesi quasi ad angolo, impedendo la visuale a chi, dalla via Chieti volesse immettersi in via Fallica con il rischio elevato di incidente, quando il Codice della strada specifica che è consentito parcheggiare solamente oltre i 5 metri dall’incrocio.
È molto strano che nessuno degli organi di polizia o dell’amministrazione non si sia mai accorto di tutto ciò, trattandosi di strada trafficatissima e forse l’unica che da quella zona porta verso il centro cittadino. Nel caso in cui non se ne fosse accorto nessuno, sicuramente la mia segnalazione, correlata da foto esplicite, potrà rendere consapevole chi è preposto ad ovviare a questi gesti di inciviltà e, magari, investigare per trovare e sanzionare chi commette e reitera questi atti illeciti.
UN CITTADINO DI BIANCAVILLA
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Biancavilla siamo noi
«Cimitero, chiedo un maggiore decoro nella confraternita del Ss. Sacramento»
Lettera in redazione su una serie di criticità: appello al governatore e al parroco della chiesa madre

Sono una cittadina di Biancavilla e volevo sottoporre all’attenzione di Biancavilla Oggi e dell’opinione pubblica lo stato dei luoghi del cimitero di pertinenza dell’Arciconfraternita del “Santissimo Sacramento”. Mi capita spesso di andare a fare visita ai miei defunti e le condizioni generali lasciano a desiderare, soprattutto se confrontate con quelle delle altre confraternite, interessate nell’ultimo periodo a lavori di sistemazione, ristrutturazione e pure di abbellimento. Al di là di interventi straordinari, mi chiedo come sia possibile che non si intervenga nemmeno per piccole e banali manutenzioni.
È da mesi che vedo, per esempio, pezzi di ponteggi in ferro appoggiati su una ringhiera: a che servono? Perché non si rimuovono? Ci sono pareti scrostate, basterebbe un po’ di calce e intonaco: perché nessuno lo fa? Al secondo piano, ci sono mattoni in vetro trasparente mancanti o frantumati in una parte della pavimentazione: sono così da mesi, ma anziché sostituirli si preferisce mettere sopra un “foratino” o ritagli di marmo come “segnale” di pericolo. Da mesi, su una parete di un sottoscala sono appoggiate lastre di marmo: che ci vuole a toglierle? Vi sembra ordinato tenerle lì?
Le caditoie sono piene di escrementi di piccioni e di fiori secchi: ma chi si occupa delle pulizie non le può rimuovere anziché farli accumulare al punto da non permettere il deflusso dell’acqua? Non parliamo poi dei cavi elettrici per alimentare le lampade votive: fili penzolanti tra i loculi, allacci aggrovigliati nastro adesivo alla meno peggio. Ma così si lavora? È tutto a norma? In uno dei due ingressi al piano terra, c’è uno spazio con un ripiano in marmo che sembra essere un accenno di altare. Curatelo, abbellitelo: non ci vuole un architetto. Curate pure le aiuole all’ingresso, anziché lasciare quel verde spennacchiato.
Si tratta di piccole accortezze che darebbero un’immagine più ordinata e decoroso e, allo stesso tempo, maggiore sicurezza per i visitatori. C’è un senso di disordine e superficialità: è evidente. Dispiace e stupisce che non si faccia attenzione ad interventi di così ordinaria amministrazione. Capisco che si tratti della confraternita più grande, ma non è giustificabile questo andazzo.
Faccio appello, quindi, al governatore dell’Arciconfraternita del “Santissimo Sacramento” e al parroco della chiesa madre: fatevi un giro tra i loculi e cominciate dalle piccole cose. Prendete esempio dalle altre confraternite. Per la parte di sua competenza, il sindaco vigili e, se lo ritiene utile, manifesti i suoi richiami. Basterebbe risolvere una criticità al giorno per guadagnare in qualche settimana il decoro necessario. Nel rispetto dei morti che lì riposano e nel rispetto dei vivi che vi fanno visita.
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