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Cultura

Istanza al sindaco di Biancavilla: «Si intitoli una via ad Antonio Canepa»

Richiesta a Bonanno per ricordare il “professore guerrigliero” e indipendentista siciliano ucciso nel 1945

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«Parte da un cittadino di Biancavilla l’iniziativa di promuovere l’intitolazione di una strada, non censita nella toponomastica comunale, ad un grande siciliano, partigiano caduto per la Libertà del popolo siciliano e dei popoli del mondo: il prof. “Antonio Canepa”. Iniziativa condivisa dalla Comunità “TerraeLiberAzione”, da sempre impegnata allo studio ed alla divulgazione della storia autentica della nostra Sicilia».

È quanto si legge in un comunicato, che dà conto della lettera del biancavillese Giuseppe Cantarella inviata al sindaco Antonio Bonanno, affinché si ricordi Canepa.

Docente universitario a Catania, il professore guerrigliero, venne “mitragliato”, insieme ad altri giovani partigiani antifascisti indipendentisti, in un “agguato di stato”, a Randazzo (contrada “Murazzu Ruttu”) e lasciato morire per dissanguamento nel cimitero di Jonia (Giarre) dopo molte ore di devastante agonia. Era il 17 giugno del 1945.

I cadaveri di Antonio Canepa, Carmelo Rosano e Giuseppe Lo Giudice vennero occultati dal Segreto di Stato per un lustro, fino al 1950, quando trovarono infine sepoltura dignitosa nel loro sacrario, a Catania, sul viale degli uomini illustri del cimitero monumentale. La loro memoria è tuttora oggetto di oblio, mascariamenti e depistaggi.

«Propongo di denominare una strada -scrive Giuseppe Cantarella nella sua istanza- ad un personaggio storico rivoluzionario, caduto per la Libertà del Popolo Siciliano».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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1 Comment

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  1. Alfio Pelleriti

    1 Maggio 2021 at 1:21

    OSSERVAZIONI SULLA PROPOSTA DI INTITOLAZIONE DI UNA STRADA AD ANTONIO CANEPA

    La figura di Antonio Canepa merita di essere studiata poiché, all’interno del MIS (Movimento indipendentista siciliano) occupò un ruolo importante, sebbene minoritario rispetto alle istanze del suo fondatore Finocchiaro Aprile. Quest’ultimo operò scelte azzardate, pericolose, antidemocratiche, schierandosi dalla parte dei grandi proprietari terrieri che, dopo la caduta del fascismo nel 1943, si sentivano minacciati dalla riforma agraria (decreto Gullo del 19 ottobre 1944) che prevedeva quella divisione delle terre dei feudi incolti promessa da Garibaldi, poi dal comandante Armando Diaz e da Vittorio Emanuele Orlando ai fanti che morivano o venivano feriti in trincea lì sul Grappa o sul Piave o sul Monte Santo.
    Finocchiaro Aprile promise l’impunità al bandito Giuliano e lo nominò “colonnello” dell’Evis in cambio del suo “aiuto” ad ostacolare, con minacce e morti ammazzati, contadini e sindacalisti (Strage di Portella delle Ginestre, 1° maggio 1947, 11 morti e numerosi feriti); prese contatti con capi mafia e massoni per realizzare il progetto dell’indipendenza della Sicilia che avrebbe dovuto portare l’isola a divenire una colonia statunitense come la Cuba del dittatore Fulgencio Batista.
    Del resto ogni volta che l’indipendentismo siciliano è sceso in campo, anche in tempi recenti, si è scoperto che sotto tale impegno c’era l’ombra della massoneria e della mafia.
    Canepa forse fu l’unico a non accettare la strategia “ambigua” e dai risvolti reazionari di Finocchiaro Aprile e molti sono gli storici che sostengono la tesi che in realtà, alle porte di Randazzo in quel 17 giugno del 1945, si volle colpire proprio lui, personaggio scomodo all’interno del movimento.
    Canepa era un anarchico che supponeva che l’azione individuale e terroristica della lotta armata potesse dare frutti politici immediati senza le “lungaggini” del gioco democratico. Era un solitario, come tutti gli anarchici (ho avuto modo di avere tra le mani il suo simbolo di riferimento: non era la sagoma della Sicilia, né la triscele siciliana, ma una stella a cinque punte rossa) che non disdegnava di lavorare per i servizi segreti inglesi e americani. Rimase in strettissimo contatto con l’Intelligence Service inglese per il tramite del suo amico Herbert Rowland Arthur, duca di Bronte, quando si inserì tra le formazioni partigiane di Giustizia e libertà che operavano sull’Appennino tosco emiliano, eppure qualche anno prima, imperando ancora Mussolini, aveva pubblicato un libro sulla dottrina e sulla mistica fascista, ottenendo una docenza universitaria.
    All’associazione “Terraeliberazione” cui fa riferimento chi avanza l’istanza di intitolare una strada di Biancavilla ad Antonio Canepa, si richiama “La voce dell’isola”, un periodico on line diretto dal giornalista Salvo Barbagallo, che in un suo editoriale apparso lo scorso 25 aprile sostiene delle tesi che sono tipiche della destra politica più radicale, altro che riferimenti all’antifascismo.
    “…non c’è “25 Aprile” che tenga: un anniversario sul quale abbiamo espressa la nostra opinione ad ogni ricorrenza su questo giornale. L’Italia “vecchia” continua a vivere di odio, rancori e reminiscenze che l’Italia “giovane” sconosce e che “rivive” quasi esclusivamente attraverso “memorie” di parte”. E nello stesso articolo afferma: “Oggi, più che 76 anni addietro, c’è bisogno di “Democrazia” e non di sentire declamare pistolotti su ciò che è stato. Ma forse una “nuova” Resistenza avrebbe “valori” “nuovi”, quelli di superare gli inizi di un Terzo Millennio che si porta dietro retaggi che storicamente presentano lati controversi e che continuano ad alimentare odio”.
    Per Barbagallo gli interventi del presidente Mattarella, del presidente del Consiglio Draghi, della senatrice Liliana Segre volti a tenere desta la memoria soprattutto dei giovani su ciò che è stato il fascismo e il nazismo, sulla loro responsabilità nell’aver causato la più immane tragedia della storia dell’umanità, sarebbero dei “pistolotti”; e affermare che l’apporto dei partigiani e della loro lotta per la liberazione d’Italia dai nazifascisti significa soltanto “alimentare odio”.
    Si auspica che il sindaco e tutta l’amministrazione comunale non diano seguito a tale istanza poiché l’ambiguità del revisionismo storico va bloccata sul nascere senza concedere spazio alcuno.

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Cultura

I mortaretti innescano il conto alla rovescia: un mese e… sarà San Placido

Il 5 settembre, una data simbolo: Biancavilla verso la grande festa (religiosa e civile) per il suo patrono

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Austu cucina e sittembiri minestra: un proverbio che in poche parole racconta la saggezza contadina di chi sapeva leggere il ritmo delle stagioni. Agosto offre il raccolto, settembre lo mette in tavola. È l’inizio autentico dell’anno contadino, civile e religioso. E qui, il tempo ha un ritmo preciso. A Biancavilla, questo passaggio è segnato ogni 5 settembre da un evento tanto simbolico quanto atteso: lo sparo dei mortaretti per annunciare che trasìu u misi a San Prazzitu. È il primo segnale che risveglia la memoria della comunità e dà il via a un conto alla rovescia carico di attesa e significato: tra un mese esatto sarà la festa di San Placido.

Preparativi antichi, attese senza tempo

Un tempo, questo giorno era l’avvio concreto dei preparativi, delle contrattazioni, l’inizio di una mobilitazione corale. Si montavano le logge di legno per ospitare i firanti della grande fiera, si stipulavano accordi con mastri pirotecnici e bande musicali, si allestivano le impalcature per le luminarie che avrebbero adornato le vie principali e il palco in piazza. Il campanile della matrice veniva costellato da migliaia di lucine elettriche che si sarebbero accese nei giorni di festa, rendendolo visibile anche nelle ore notturne, come una magia. A sostenere tutto questo non era l’amministrazione comunale, che si limitava a pochi contributi essenziali, ma la devozione popolare, organizzata dalla Confraternita del SS. Sacramento, i cui confrati passavano di casa in casa, nelle botteghe e nei circoli a raccogliere offerte. Era il popolo stesso a “costruire” la festa.

Nel frattempo, anche nelle case ci si preparava con la stessa intensità. Le donne cucivano abiti nuovi da sfoggiare nei giorni solenni, mentre gli uomini, aiutati da tutta la famiglia, mmazzavano ’u porcu allevato in casa per un anno intero cch’i favi e a canigghia. Niente era lasciato al caso. Anche il cibo, come i vestiti e i gesti, aveva un significato rituale: era memoria, sacrificio e condivisione.

I “doni” di settembre

Settembre portava altri doni. Nelle campagne si cutulavano le mandorle, un tempo abbondanti nel nostro territorio. Poi, in famiglia, si sgusciavano, si separavano dal mallo e si essiccavano al sole davanti agli usci e nei cortili. Infine si conservavano per durare tutto l’anno.

Nei vigneti a nord del paese, la vendemmia era una festa vera, fatta di fatica e gesti rituali. Famiglie intere si riunivano nei filari, assegnandosi ruoli e compiti precisi, tra animali da soma, cesti pieni d’uva e canti popolari. Era il trionfo della cooperazione e della fatica condivisa.

Oggi tutto è più veloce e last minute: con internet, tablet e smartphone gli eventi vengono pianificati e pubblicizzati via social e quel tempo lento e solenne sembra lontano. Eppure, settembre conserva ancora un’aura speciale: è il mese in cui si ritorna alla normalità dopo la sospensione estiva, si riprende la scuola, il lavoro, la vita sociale e la programmazione ecclesiale. A Biancavilla, invece, è ancora soprattutto il periodo prima di San Placido. Un mese che non guarda solo al futuro, ma affonda le sue radici in una memoria collettiva che ha plasmato l’identità del paese.

Una devozione con radici profonde

La figura di San Placido, monaco benedettino e martire, è da oltre quattro secoli il fulcro della devozione biancavillese. La tradizione vuole che, nel 1588, dopo il ritrovamento del corpo del santo a Messina, le sue reliquie venissero portate in processione nei principali centri della Sicilia. Il carro che trasportava le sacre spoglie aveva appena fatto tappa al monastero di Santa Maria di Licodia ed era diretto ad Adrano, senza fermarsi a Biancavilla, allora piccolo borgo di povera gente. Ma, giunto al confine tra i due territori, accadde qualcosa di prodigioso: il mulo si arrestò, impuntandosi, e nonostante ogni sforzo non volle più muoversi. Fu interpretato come un segno: il santo desiderava restare lì. Quel punto prese il nome di pidata di San Prazzitu, la pedata di San Placido.

È solo una leggenda – tramandata anche da Giuseppe Pitrè e di cui esistono più varianti – ma, come spesso accade, la forza del mito vale quasi quanto la verità storica. In essa si riconosce il bisogno della comunità di sentirsi scelta, benedetta, parte di una storia più grande. San Placido non è solo il protettore celeste, ma il simbolo di un’identità che ha saputo unire fede, lavoro, sacrificio e speranza. E anche se i tempi cambiano, settembre resta il mese in cui Biancavilla si raccoglie attorno alla sua memoria più viva. È il mese in cui il cielo si fa più terso, le prime piogge fecondano la terra e ogni cosa sembra ricominciare il suo ciclo. Ecco perché, ogni anno, quando i mortaretti del 5 settembre rompono il silenzio, non si annunciano solo dei preparativi: si riaccende il cuore pulsante dell’intera comunità.

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Cultura

Mulini ad acqua, Bonanno: «Sì al loro recupero con un progetto partecipato»

Ok del sindaco all’idea lanciata da “Biancavilla Oggi”: oltre 40 anni fa la denuncia di Antonio Zappalà

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© Archivio "Biancavilla Documenti"

«Accolgo con favore l’iniziativa. Sono davvero felice di vedere l’attenzione che si focalizza sui mulini ad acqua di Biancavilla, veri e propri monumenti inconsapevoli da tutelare. La proposta di creare un “percorso dell’acqua” per recuperare e valorizzare questi ruderi è un’idea meravigliosa che potrebbe portare benefici culturali, turistici ed educativi alla nostra città».

Lo dichiara il sindaco Antonio Bonanno, in riferimento all’articolo a firma di Filadelfio Grasso, pubblicato su Biancavilla Oggi, sulla storia dei mulini ad acqua, per i quali si propone un’azione di recupero in modo da inserirli in un itinerario culturale, turistico ed educativo.

«È un’opportunità per riscoprire il nostro passato. Ricordo – aggiunge Bonanno – che già nella zona è in corso un intervento di rigenerazione urbana che sta interessando la Fontana Vecchia, l’ex Macello e l’installazione del basolato lavico sino alla via Inessa e all’incrocio con la via dei mulini ad acqua. Purtroppo, i fondi non sono stati sufficienti per comprendere anche la parte dei mulini, ma credo che questo sia un ottimo punto di partenza per proseguire il lavoro. Sarebbe interessante conciliare la proposta con il progetto di rigenerazione urbana di Antonio Presti, che attraverso un momento partecipativo nella nostra Biancavilla ha individuato la “Via dei Mulini” e la Fontana vecchia come “Belvedere dell’anima“».

Il sindaco: «Coinvolgerò gli studiosi locali»

Si tratta, dunque, di avviare un iter partecipato con contributi di idee e intercettare poi i necessari fondi. «Condivido pienamente l’idea di avviare una progettazione partecipata insieme a studiosi e storici della nostra città. Mi farò carico – specifica ancora il sindaco – di coinvolgere Filadelfio Grasso e Enzo Meccia di “SiciliAntica”, che hanno sempre mostrato attenzione e spirito propositivo. Sarò felice di coinvolgere anche chiunque altro vorrà dare un contributo. Spero che questa iniziativa possa essere un’opportunità per riscoprire il nostro passato e dare un senso nuovo a luoghi simbolo della nostra città».

Nel 1983 su “Callicari” l’appello di Antonio Zappalà

La tutela dei mulini ad acqua, ormai ridotti a ruderi fagocitati dallo sviluppo urbano, è un grido che già molti anni fa si è levato forte. Il primo a denunciare lo stato di abbandono e chiedere interventi di recupero è stato Antonio Zappalà. Lo studioso di storia e tradizioni locali, infatti, già nel 1983, all’epoca del ciclostile, ne scriveva su “Callicari”. Sul periodico parrocchiale della chiesa madre, a sua firma, erano state pubblicate diverse pagine nella rubrica “C’è da salvare” con un’uscita dedicata proprio ai mulini.

«Tentativi di recupero in tal senso – evidenziava Zappalà – sono stati fatti con ottimi risultati nel Nord Italia, dove strutture del genere sono state opportunamente ripristinate per servire veri e propri “Musei della civiltà contadina e rurale” o destinate a “Centri per attività culturali”».

«Mi domando a questo punto: perché non fare un serio tentativo anche qui a Biancavilla?», si chiedeva Zappalà. «Un immediato vantaggio – aggiungeva – potrebbe trarne il quartiere Sant’Orsola, che disporrebbe così di una struttura sociale per attività culturali e ricreative, nonché di un ampio spazio circostante da destinare a verde pubblico, di cui avrebbe bisogno».

Da qui l’appello di Antonio Zappalà rivolto al Comune: «Con la viva speranza di un pronto interessamento da parte della Giunta municipale, rivolgo un particolare invito all’assessore preposto ai Beni culturali, affinché intervenga presso le autorità competenti prima che il cemento e l’incuria del tempo soffochino e trasformino questa testimonianza del passato cara ai biancavillesi». Un appello che, a distanza di oltre 40 anni, rinnovato adesso da Biancavilla Oggi, attende ancora una risposta.

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