Cultura
I mulini ad acqua di Biancavilla, monumenti inconsapevoli da tutelare
Una proposta culturale ed educativa di recupero dei ruderi: si realizzi un “percorso dell’acqua”

A Biancavilla esistevano una volta i mulini ad acqua, costruiti nel Cinquecento per volere di Antonio Moncada Ventimiglia, conte di Adernò e principe di Paternò. Cinque opere ingegnose, alimentate dalle sorgenti di Cartalemmi e Fontana Vecchia, che per secoli hanno dissetato una comunità intera. Non solo simboli di un’economia rurale, ma veri e propri capolavori di architettura funzionale, collegati da acquedotti alti fino a sette metri, costruiti con pietra e malta, questi ancora visibili, sebbene soffocati da recinzioni, costruzioni recenti, auto parcheggiate e incuria.
Dei mulini veri e propri, soltanto uno, quello della Fontana Vecchia, conserva una struttura quasi intatta. Gli altri sono ridotti a ruderi o inglobati in contesti urbani. In compenso, gli acquedotti che un tempo mettevano in moto le macine resistono: solidi e silenziosi. Veri monumenti inconsapevoli, dimenticati nella periferia del nostro presente.
Pane, ingegno e comunità
Nel passato contadino di Biancavilla, dove la ricchezza era un lusso per pochi, il pane era sacro. Il grano e gli altri cereali si portavano al mulino a dorso di mulo o sulle spalle, le farine si setacciavano a mano per separarle dalla canigghia, e il pane si divideva in famiglia, duro ma vitale. I mulini, mossi dalla forza dell’acqua e da turbine in legno, rappresentavano un microcosmo autosufficiente e comunitario: un’economia di prossimità, fondata sul lavoro, l’ingegno e l’equilibrio con la natura.
Dalla nobiltà ai privati, fino al declino
Nel corso del Seicento, i Moncada avevano l’abitudine di affidare la costruzione e la gestione dei mulini a cittadini facoltosi. In cambio del pagamento di specifiche tasse, questi ottenevano il permesso di amministrare le strutture, trasformandole spesso in vere e proprie fonti di reddito privato. Un esempio significativo risale al 1603, quando Antonio D’Aragona Moncada concesse a don Cesare Rau l’autorizzazione a costruire un mulino sopra la Rocca. Un gesto che racconta molto non solo delle dinamiche economiche del tempo, ma anche dei rapporti di potere locali.
Dopo il 1827, la proprietà dei mulini passò dai Moncada ai Filangeri, e infine a privati che ne prolungarono l’attività per oltre un secolo. Ma già nei primi anni del ‘900, l’avvento dell’energia elettrica cambiò le regole del gioco. L’antico sistema idraulico non poteva competere. Eppure, alcuni mugnai resistettero: raccoglievano il frumento casa per casa con un asinello (poi con la lapa, il veicolo a tre ruote), consegnando la farina il giorno dopo, in una forma di delivery rurale ante litteram.
Fino agli anni ’50, i mulini continuarono a macinare — non solo frumento, ma anche ceci, lenticchie, fave, da cui si ricavava la farina per i frascatuli. Poi il silenzio. Le ruote si fermarono. Il via vai di gente davanti a questi edifici diminuì fino a sparire.
Oggi: ruderi che raccontano
Oggi quei mulini (per quel poco che resta di rintracciabile) sono ruderi dimenticati, invasi dalla vegetazione, fagocitati dall’espansione urbana: in via Pistoia, in via Taranto, di fronte alla distrutta chiesetta dello Spasimo. Archeologia rurale, echi di testimonianze di un tempo in cui l’acqua dava vita non solo ai campi, ma anche alla cultura materiale del paese.
Secondo il sociologo Aldo Bonomi, chi amministra una città deve «costruire alleanze e mediazioni» per dare un senso alla trasformazione urbana. E allora, ci chiediamo: che spazio c’è, nel nostro futuro, per il nostro passato?
Una proposta per recuperare, valorizzare, raccontare
Recuperare la memoria dei mulini non è un sogno nostalgico, ma un’opportunità culturale, turistica ed educativa. Da qui, dalle pagine di Biancavilla Oggi, una proposta semplice ma significativa: salvare ciò che resta e tracciare un “percorso dell’acqua”, che accompagni cittadini, studenti e visitatori lungo i luoghi dove l’ingegno dei nostri antenati ha saputo domare e incanalare le sorgenti per alimentare la vita del paese.
Un itinerario che, attraverso pannelli informativi, segnaletica e mappe digitali, possa raccontare la storia dei mulini, spiegare il funzionamento degli acquedotti, e soprattutto trasmettere il senso di una cultura profondamente legata all’acqua, risorsa abbondante nel nostro territorio e centrale per lo sviluppo storico di Biancavilla.
Non servono grandi investimenti: basta la volontà di custodire e raccontare, affinché questi ruderi non restino solo ciò che resta di un passato muto, ma diventino punti di partenza per un dialogo nuovo tra reminiscenze e territorio.
Un invito alla comunità
In tempi di PNRR, rigenerazione urbana e “città intelligenti”, serve intelligenza anche emotiva. Quella che ci spinge a non perdere ciò che ci ha resi ciò che siamo. Così da pensare globalmente, ma senza dimenticare le radici. Quindi non lasciamo che i mulini del nostro passato continuino a sgretolarsi nel silenzio. Iniziamo a parlarne, a proporre, a sognare. Perché ogni città in movimento ha bisogno di radici solide per non smarrirsi lungo la strada…
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Cultura
“San Zenone”, un libro sull’antico culto che lega Biancavilla, Giordania e Cipro
Presentato nell’aula consiliare il nuovo volume di Filadelfio Grasso per “Nero su Bianco Edizioni”

È un viaggio storico e spirituale nei “luoghi” di San Zenone, primo patrono e protettore di Biancavilla. Filadelfio Grasso ci accompagna in un itinerario che dalle falde dell’Etna ci porta verso il Mediterraneo orientale. Un culto – quello per il martire cristiano d’Arabia – che connette quindi la Sicilia alla Giordania e a Cipro, dove è ancora presente la devozione, come ha documentato l’autore.
“San Zenone” è il volume che Grasso ha pubblicato per Nero su Bianco Edizioni. Il libro – ulteriore tassello nella conoscenza della storia e delle tradizioni locali – è stato presentato nell’aula consiliare del Comune di Biancavilla. Un appuntamento, inserito nel programma delle festività patronali, che ha visto una straordinaria partecipazione di pubblico.
Assieme all’autore, presente all’incontro don Antonino De Maria, delegato dell’Arcidiocesi di Catania e della Conferenza Episcopale Siciliana per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, che ha firmato la prefazione.
Tra gli interventi, moderati dal giornalista Nicola Savoca, quelli del sindaco Antonio Bonanno, del presidente del Consiglio Comunale, Fabrizio Portale, del prevosto-parroco della basilica di Biancavilla, don Pino Salerno, e del direttore editoriale di Nero su Bianco Edizioni, Vittorio Fiorenza.

Agiografia, tradizioni popolari, equivoci storici e mirate strategie ecclesiastiche: il volume fa luce sulle origini arbëreshë di Biancavilla e il valore identitario di un culto che – pur con tante contraddizioni e dopo avere conosciuto una fase di oblio – continua a parlare al presente.
Un saggio che intreccia fede, memoria e identità collettiva, restituendo nuova attualità a una pagina di storia locale. La venerazione per san Zenone, che varca i confini e resiste, diventa così un “ponte” tra Europa e Medio oriente ed espressione di una “dimensione mediterranea”, che in questa nostra epoca di tensioni e conflitti ci richiama al dialogo, alle relazioni, all’inclusione.
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Cultura
In Svizzera le carte personali di Antonio Bruno: incontro all’Università di Berna
Studiosi internazionali alla conferenza di Placido Sangiorgio sul poeta futurista di Biancavilla

L’Istituto di Lingua e Letteratura italiana – Philosophisch-historische Fakultät dell’Università di Berna ha appena chiuso la Summer School: “Altre fonti. La società letteraria del Novecento attraverso gli archivi”.
Nella giornata conclusiva, presso la Biblioteca Nazionale Svizzera, le carte personali di Antonio Bruno, custodite presso la Biblioteca Comunale “Gerardo Sangiorgio” di Biancavilla, sono state oggetto di attenzione da parte di studiosi internazionali.
La relazione dal titolo: “I protagonisti del Novecento letterario nell’archivio del poeta futurista Antonio Bruno (1891 – 1932)”, tenuta da Placido A. Sangiorgio, ha inteso fare dialogare i documenti del fondo archivistico biancavillese tra di loro con altri archivi che custodiscono testimonianze del poeta.
Ad esempio, si trova a Biancavilla una lettera di Giovanni Papini che ispirò ad “Antonuzzu” l’abbozzo di una sintesi futurista. Alla Beinecke Library dell’Università di Yale ci sono le missive di Antonio Bruno a Marinetti, alcune sue tavole parolibere, un testo in francese del padre del futurismo proprio su Antonio Bruno.
Di particolare rilevanza le testimonianze relative alla rivista dadaista “Circo” del 1916, pensata dal poeta, allora a Firenze, per raccogliere in numero ristretto una serie di scelti collaboratori. Tra questi Giuseppe Ungaretti che dalla “Zona di Guerra” gli inviò il testo “I ritrovi”. E ancora Dino Campana, che trovava nel poeta biancavillese «quella saldezza della tempra aristocratica», carattere necessario per «salvare la letteratura».
Da Verga a Deledda
Curiosa una lettera del Giovanni Verga, osannato dai futuristi, che rimbrotta a Bruno il suo paroliberismo, come del resto il sodale Giovanni Centorbi dell’avventura di “Pickwick” che, sotto i portici veronesi, aveva visto in un giornale con il lancio di “Fuochi di Bengala”. Pieno di rancore, invece, un biglietto di Federico de Roberto, che fa pagare a Bruno l’ardire di aver chiesto la mano della nipote Nennella.
Altra pagina i diari pieni di considerazioni letterarie e umane (tra queste il confronto tra Palazzeschi e Papini e le belle serate trascorse con Emilio Settimelli), oltre a vari “temi di donne”. Documentata anche la fase romana in cui il poeta frequentava la terza saletta del Caffè Aragno. A questo periodo appartiene l’incontro con Arturo Onofri e con la futura premio Nobel Grazia Deledda. Nelle ultime testimonianze c’è già la mutata temperie politico-sociale: tra i corrispondenti, infatti, Giuseppe Antonio Borgese e Margherita Sarfatti.
Carte, certo, da scoprire, valorizzare, restituire alla conoscenza collettiva, anche in virtù del fatto che il fondo archivistico biancavillese, donato nel 2011 da Alfio Fiorentino, è la più unitaria e alta testimonianza del futurismo (e della letteratura d’avanguardia) nell’Isola. Un tesoro del quale essere orgogliosi.
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