Cultura
Aula docenti “Gerardo Sangiorgio”, la “Sturzo” salda il suo debito morale
Intitolazione all’intellettuale sopravvissuto ai lager che insegnò in questa scuola per 10 anni

La scuola media “Luigi Sturzo” di Biancavilla ha intitolato l’aula insegnanti a Gerardo Sangiorgio. La formale cerimonia avverrà in occasione della “Giornata della memoria”, giovedì prossimo. La scuola biancavillese rende omaggio così ad uno dei suoi docenti, che da giovane visse l’esperienza dei lager nazisti, da cui ne uscì segnato nel profondo dell’animo.
Un’esperienza –scaturita dal suo rifiuto ad aderire alla Repubblica di Salò, all’indomani dell’8 Settembre– presente nella sua attività di insegnante e di letterato. Un fine intellettuale, profondamente cattolico, Gerardo Sangiorgio, scomparso nel 1993 dopo avere dedicato la vita alla promozione dei valori di libertà e fratellanza.
Proprio alla “Sturzo”, dove aveva insegnato per dieci anni (dal 1960 al 1970), Sangiorgio si distinse per la lettura ai suoi alunni della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” approvata nel 1945 dall’assemblea delle Nazioni Unite e della “Dichiarazione di Philadelphia” del 1774.
La decisione della “Sturzo” colma il debito morale che la scuola aveva nei confronti della memoria di un illustre biancavillese e un eccellente insegnante. La sua figura, negli anni, è stata ricordata in diversi momenti, non soltanto a Biancavilla ma anche in altre città della provincia di Catania e persino fuori Sicilia. Nessuna iniziativa, invece, da parte della “Sturzo”.
Il ruolo di Biancavilla Oggi e Nero su Bianco
Biancavilla Oggi ha dedicato innumerevoli articoli, spesso su aspetti inediti della vita e delle opere di Gerardo Sangiorgio. Qualche anno fa, la nostra casa editrice, Nero su Bianco, che su Sangiorgio ha pubblicato due volumi, aveva proposto alla “Sturzo” la loro adozione in un percorso didattico multidisciplinare di storia, letteratura ed educazione civica.
“Internato n. 102883/IIA” e “Una vita ancora più bella”, curati da Salvatore Borzì con le prefazioni di Francesco Benigno e Niccolò Mineo, contengono testimonianze e documenti inediti, oltre ai generosi contributi di Liliana Segre, Erri De Luca, Massimo Cacciari, Luciano Canfora ed altri autorevoli intellettuali italiani.
Avevamo avanzato, nel 2020, anche l’opportunità di commemorare Sangiorgio, per esempio dedicando un luogo all’interno della “sua” scuola. Purtroppo, nessuna risposta. Richieste reiterate in occasione del cambio della dirigenza scolastica, affidata da quest’anno alla prof. Concetta Drago. La sensibilità di quest’ultima è stata immediata e convinta. Adesso, la formalizzazione di intitolare a Gerardo Sangiorgio l’aula docenti. Una targa riporterà il suo nome, a testimonianza dell’eredità umana, morale e culturale che ci ha lasciato.
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Cultura
In Svizzera le carte personali di Antonio Bruno: incontro all’Università di Berna
Studiosi internazionali alla conferenza di Placido Sangiorgio sul poeta futurista di Biancavilla

L’Istituto di Lingua e Letteratura italiana – Philosophisch-historische Fakultät dell’Università di Berna ha appena chiuso la Summer School: “Altre fonti. La società letteraria del Novecento attraverso gli archivi”.
Nella giornata conclusiva, presso la Biblioteca Nazionale Svizzera, le carte personali di Antonio Bruno, custodite presso la Biblioteca Comunale “Gerardo Sangiorgio” di Biancavilla, sono state oggetto di attenzione da parte di studiosi internazionali.
La relazione dal titolo: “I protagonisti del Novecento letterario nell’archivio del poeta futurista Antonio Bruno (1891 – 1932)”, tenuta da Placido A. Sangiorgio, ha inteso fare dialogare i documenti del fondo archivistico biancavillese tra di loro con altri archivi che custodiscono testimonianze del poeta.
Ad esempio, si trova a Biancavilla una lettera di Giovanni Papini che ispirò ad “Antonuzzu” l’abbozzo di una sintesi futurista. Alla Beinecke Library dell’Università di Yale ci sono le missive di Antonio Bruno a Marinetti, alcune sue tavole parolibere, un testo in francese del padre del futurismo proprio su Antonio Bruno.
Di particolare rilevanza le testimonianze relative alla rivista dadaista “Circo” del 1916, pensata dal poeta, allora a Firenze, per raccogliere in numero ristretto una serie di scelti collaboratori. Tra questi Giuseppe Ungaretti che dalla “Zona di Guerra” gli inviò il testo “I ritrovi”. E ancora Dino Campana, che trovava nel poeta biancavillese «quella saldezza della tempra aristocratica», carattere necessario per «salvare la letteratura».
Da Verga a Deledda
Curiosa una lettera del Giovanni Verga, osannato dai futuristi, che rimbrotta a Bruno il suo paroliberismo, come del resto il sodale Giovanni Centorbi dell’avventura di “Pickwick” che, sotto i portici veronesi, aveva visto in un giornale con il lancio di “Fuochi di Bengala”. Pieno di rancore, invece, un biglietto di Federico de Roberto, che fa pagare a Bruno l’ardire di aver chiesto la mano della nipote Nennella.
Altra pagina i diari pieni di considerazioni letterarie e umane (tra queste il confronto tra Palazzeschi e Papini e le belle serate trascorse con Emilio Settimelli), oltre a vari “temi di donne”. Documentata anche la fase romana in cui il poeta frequentava la terza saletta del Caffè Aragno. A questo periodo appartiene l’incontro con Arturo Onofri e con la futura premio Nobel Grazia Deledda. Nelle ultime testimonianze c’è già la mutata temperie politico-sociale: tra i corrispondenti, infatti, Giuseppe Antonio Borgese e Margherita Sarfatti.
Carte, certo, da scoprire, valorizzare, restituire alla conoscenza collettiva, anche in virtù del fatto che il fondo archivistico biancavillese, donato nel 2011 da Alfio Fiorentino, è la più unitaria e alta testimonianza del futurismo (e della letteratura d’avanguardia) nell’Isola. Un tesoro del quale essere orgogliosi.
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Cultura
I mortaretti innescano il conto alla rovescia: un mese e… sarà San Placido
Il 5 settembre, una data simbolo: Biancavilla verso la grande festa (religiosa e civile) per il suo patrono

Austu cucina e sittembiri minestra: un proverbio che in poche parole racconta la saggezza contadina di chi sapeva leggere il ritmo delle stagioni. Agosto offre il raccolto, settembre lo mette in tavola. È l’inizio autentico dell’anno contadino, civile e religioso. E qui, il tempo ha un ritmo preciso. A Biancavilla, questo passaggio è segnato ogni 5 settembre da un evento tanto simbolico quanto atteso: lo sparo dei mortaretti per annunciare che trasìu u misi a San Prazzitu. È il primo segnale che risveglia la memoria della comunità e dà il via a un conto alla rovescia carico di attesa e significato: tra un mese esatto sarà la festa di San Placido.
Preparativi antichi, attese senza tempo
Un tempo, questo giorno era l’avvio concreto dei preparativi, delle contrattazioni, l’inizio di una mobilitazione corale. Si montavano le logge di legno per ospitare i firanti della grande fiera, si stipulavano accordi con mastri pirotecnici e bande musicali, si allestivano le impalcature per le luminarie che avrebbero adornato le vie principali e il palco in piazza. Il campanile della matrice veniva costellato da migliaia di lucine elettriche che si sarebbero accese nei giorni di festa, rendendolo visibile anche nelle ore notturne, come una magia. A sostenere tutto questo non era l’amministrazione comunale, che si limitava a pochi contributi essenziali, ma la devozione popolare, organizzata dalla Confraternita del SS. Sacramento, i cui confrati passavano di casa in casa, nelle botteghe e nei circoli a raccogliere offerte. Era il popolo stesso a “costruire” la festa.
Nel frattempo, anche nelle case ci si preparava con la stessa intensità. Le donne cucivano abiti nuovi da sfoggiare nei giorni solenni, mentre gli uomini, aiutati da tutta la famiglia, mmazzavano ’u porcu allevato in casa per un anno intero cch’i favi e a canigghia. Niente era lasciato al caso. Anche il cibo, come i vestiti e i gesti, aveva un significato rituale: era memoria, sacrificio e condivisione.
I “doni” di settembre
Settembre portava altri doni. Nelle campagne si cutulavano le mandorle, un tempo abbondanti nel nostro territorio. Poi, in famiglia, si sgusciavano, si separavano dal mallo e si essiccavano al sole davanti agli usci e nei cortili. Infine si conservavano per durare tutto l’anno.
Nei vigneti a nord del paese, la vendemmia era una festa vera, fatta di fatica e gesti rituali. Famiglie intere si riunivano nei filari, assegnandosi ruoli e compiti precisi, tra animali da soma, cesti pieni d’uva e canti popolari. Era il trionfo della cooperazione e della fatica condivisa.
Oggi tutto è più veloce e last minute: con internet, tablet e smartphone gli eventi vengono pianificati e pubblicizzati via social e quel tempo lento e solenne sembra lontano. Eppure, settembre conserva ancora un’aura speciale: è il mese in cui si ritorna alla normalità dopo la sospensione estiva, si riprende la scuola, il lavoro, la vita sociale e la programmazione ecclesiale. A Biancavilla, invece, è ancora soprattutto il periodo prima di San Placido. Un mese che non guarda solo al futuro, ma affonda le sue radici in una memoria collettiva che ha plasmato l’identità del paese.
Una devozione con radici profonde
La figura di San Placido, monaco benedettino e martire, è da oltre quattro secoli il fulcro della devozione biancavillese. La tradizione vuole che, nel 1588, dopo il ritrovamento del corpo del santo a Messina, le sue reliquie venissero portate in processione nei principali centri della Sicilia. Il carro che trasportava le sacre spoglie aveva appena fatto tappa al monastero di Santa Maria di Licodia ed era diretto ad Adrano, senza fermarsi a Biancavilla, allora piccolo borgo di povera gente. Ma, giunto al confine tra i due territori, accadde qualcosa di prodigioso: il mulo si arrestò, impuntandosi, e nonostante ogni sforzo non volle più muoversi. Fu interpretato come un segno: il santo desiderava restare lì. Quel punto prese il nome di pidata di San Prazzitu, la pedata di San Placido.
È solo una leggenda – tramandata anche da Giuseppe Pitrè e di cui esistono più varianti – ma, come spesso accade, la forza del mito vale quasi quanto la verità storica. In essa si riconosce il bisogno della comunità di sentirsi scelta, benedetta, parte di una storia più grande. San Placido non è solo il protettore celeste, ma il simbolo di un’identità che ha saputo unire fede, lavoro, sacrificio e speranza. E anche se i tempi cambiano, settembre resta il mese in cui Biancavilla si raccoglie attorno alla sua memoria più viva. È il mese in cui il cielo si fa più terso, le prime piogge fecondano la terra e ogni cosa sembra ricominciare il suo ciclo. Ecco perché, ogni anno, quando i mortaretti del 5 settembre rompono il silenzio, non si annunciano solo dei preparativi: si riaccende il cuore pulsante dell’intera comunità.
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