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Cultura

Biancavilla tra torcicollo e tradizioni: riti secolari con lo sguardo al futuro

Dall’Addolorata alle altre feste religiose: elementi identitari che costituiscono il nostro dna

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In un clima mesto e timidamente raccolto, a poco a poco e senza fretta, i fedeli, un po’ infreddoliti e un po’ assonnati, giungono all’alba davanti ad una piccolissima chiesa al centro del paese. Dopo qualche saluto misurato e composto, i presenti attendono in scrupoloso silenzio che la tenera immagine della Vergine Addolorata venga finalmente portata aldilà della piccola porticina che la custodisce durante l’anno. La banda approfitta degli ultimi minuti per finire di posizionarsi, mentre in lontananza si vede ancora qualcuno affrettarsi per arrivare in tempo. Il sole stenta ancora a sorgere e l’aria è ancora fresca, ma i minuti passano e Lei, dietro quella porticina, è già pronta.

Sono le sei e gli occhi di tutti sono catturati da quella figura minuta e delicata che nel frattempo è già uscita lentamente dalla chiesetta.  I volti profondamente seri dei fedeli, spesso rigati da qualche lacrima, sembrano empatizzare col dolore espresso da quel volto cereo che da tanti decenni abbraccia il paese la mattina del Venerdì Santo. La marcia funebre intonata dalla banda sembra armonizzarsi con il respiro quasi trattenuto dei fedeli e introduce un clima mesto e riflessivo che accompagnerà la processione fino alla sua conclusione diverse ore dopo.

Tra storia e devozione

Sembra la descrizione di una scena ottocentesca, una di quelle che si leggono in alcuni romanzi storici o si vedono in certi film d’epoca. È in realtà una delle scene che da più di un secolo si ripetono durante la Settimana Santa nel nostro paese. Scene umili e semplici, ma intrise della devozione e della storia della nostra terra. Celebrazioni come queste pasquali o come le altre che costellano l’anno, ad esempio San Placido o la Festa Estiva, sono espressione identitaria della comunità biancavillese.

In questo senso, indossare i simboli di una confraternita, recitare una preghiera o semplicemente assistere ad una processione sono gesti che emozionano perché pregni di ricordi e significato. Le suggestioni dei momenti religiosi si mischiano poi con le spensierate cornici profane. Momenti di raccoglimento e preghiera si alternano a gesti folkloristici e rappresentazioni artistiche: Il risultato è un mosaico esperienziale unico.

Il senso di appartenenza

Spesso per chi vive lontano da Biancavilla partecipare a questi eventi significa tornare indietro nel tempo, sono occasioni per sperimentare ancora l’appartenenza al proprio paese di origine… è un po’ come tornare a casa! È bello tornare e rivivere i momenti di sempre: la pace a piazza Collegiata con l’angelo che balla, la messa sul sagrato della Chiesa Madre a fine agosto, lo spettacolo piromusicale e l’odore di castagne “caliate” tra le bancarelle, o ancora il tradizionale canto della nuvera nei giorni che precedono il Natale. Elementi di tipicità biancavillese e che fanno parte del DNA culturale della nostra comunità.

Tutto ciò è reso possibile, oltre che dalle istituzioni, dall’impegno e dalla dedizione di molti concittadini che nel tempo hanno sempre sostenuto e portato avanti le tradizionali celebrazioni. Il plauso va a tutte le persone che si attivano a titolo gratuito e senza fronzoli, che mettono a disposizione della collettività la propria esperienza e i propri sforzi.

È un piacere ad esempio notare la serietà e l’essenzialità nella cura delle festività patronali dell’anno passato e di quelle pasquali di quest’anno. La mano esperta di Carmelo Milazzo, responsabile per la comunicazione con il clero e presidente dell’associazione Maria SS. Dell’Elemosina, ha saputo ben coordinare le iniziative delle varie realtà, integrando con equilibrio aspetti tradizionali e di novità.

La necessità di guardare avanti

In un mondo che corre e cambia, la valorizzazione delle tradizioni è un elemento di forza per realtà periferiche come Biancavilla. Sono occasioni di consapevolezza e condivisione che portano a volgere lo sguardo indietro nel tempo. È necessario tuttavia che questo sguardo ritorni poi sul presente o addirittura tenti di volgersi al futuro. Il mantenimento delle proprie tradizioni rischia di non essere sufficiente per una comunità se questo non è accompagnato da uno slancio fiducioso verso il futuro. A furia di mantenere lo sguardo sul passato si rischia un brutto torcicollo!

Per una terra ricca di tradizioni, ma povera di opportunità come la nostra, è essenziale emanciparsi da sentimenti di sterile nostalgia per aprirsi a quelli di speranza e desiderio.

L’augurio per questa Pasqua è un rinnovato equilibrio tra quello che è stato e quello che potrà essere, uno sguardo flessibile che sappia fare tesoro del passato, ma che sappia cogliere le potenzialità dell’avvenire.

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Cultura

In Svizzera le carte personali di Antonio Bruno: incontro all’Università di Berna

Studiosi internazionali alla conferenza di Placido Sangiorgio sul poeta futurista di Biancavilla

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L’Istituto di Lingua e Letteratura italiana – Philosophisch-historische Fakultät dell’Università di Berna ha appena chiuso la Summer School: “Altre fonti. La società letteraria del Novecento attraverso gli archivi”.

Nella giornata conclusiva, presso la Biblioteca Nazionale Svizzera, le carte personali di Antonio Bruno, custodite presso la Biblioteca Comunale “Gerardo Sangiorgio” di Biancavilla, sono state oggetto di attenzione da parte di studiosi internazionali.

La relazione dal titolo: “I protagonisti del Novecento letterario nell’archivio del poeta futurista Antonio Bruno (1891 – 1932)”, tenuta da Placido A. Sangiorgio, ha inteso fare dialogare i documenti del fondo archivistico biancavillese tra di loro con altri archivi che custodiscono testimonianze del poeta.

Ad esempio, si trova a Biancavilla una lettera di Giovanni Papini che ispirò ad “Antonuzzu” l’abbozzo di una sintesi futurista. Alla Beinecke Library dell’Università di Yale ci sono le missive di Antonio Bruno a Marinetti, alcune sue tavole parolibere, un testo in francese del padre del futurismo proprio su Antonio Bruno.

Di particolare rilevanza le testimonianze relative alla rivista dadaista “Circo” del 1916, pensata dal poeta, allora a Firenze, per raccogliere in numero ristretto una serie di scelti collaboratori. Tra questi Giuseppe Ungaretti che dalla “Zona di Guerra” gli inviò il testo “I ritrovi”. E ancora Dino Campana, che trovava nel poeta biancavillese «quella saldezza della tempra aristocratica», carattere necessario per «salvare la letteratura».

Da Verga a Deledda

Curiosa una lettera del Giovanni Verga, osannato dai futuristi, che rimbrotta a Bruno il suo paroliberismo, come del resto il sodale Giovanni Centorbi dell’avventura di “Pickwick” che, sotto i portici veronesi, aveva visto in un giornale con il lancio di “Fuochi di Bengala”. Pieno di rancore, invece, un biglietto di Federico de Roberto, che fa pagare a Bruno l’ardire di aver chiesto la mano della nipote Nennella.

Altra pagina i diari pieni di considerazioni letterarie e umane (tra queste il confronto tra Palazzeschi e Papini e le belle serate trascorse con Emilio Settimelli), oltre a vari “temi di donne”. Documentata anche la fase romana in cui il poeta frequentava la terza saletta del Caffè Aragno. A questo periodo appartiene l’incontro con Arturo Onofri e con la futura premio Nobel Grazia Deledda. Nelle ultime testimonianze c’è già la mutata temperie politico-sociale: tra i corrispondenti, infatti, Giuseppe Antonio Borgese e Margherita Sarfatti.

Carte, certo, da scoprire, valorizzare, restituire alla conoscenza collettiva, anche in virtù del fatto che il fondo archivistico biancavillese, donato nel 2011 da Alfio Fiorentino, è la più unitaria e alta testimonianza del futurismo (e della letteratura d’avanguardia) nell’Isola. Un tesoro del quale essere orgogliosi.

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Cultura

I mortaretti innescano il conto alla rovescia: un mese e… sarà San Placido

Il 5 settembre, una data simbolo: Biancavilla verso la grande festa (religiosa e civile) per il suo patrono

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Austu cucina e sittembiri minestra: un proverbio che in poche parole racconta la saggezza contadina di chi sapeva leggere il ritmo delle stagioni. Agosto offre il raccolto, settembre lo mette in tavola. È l’inizio autentico dell’anno contadino, civile e religioso. E qui, il tempo ha un ritmo preciso. A Biancavilla, questo passaggio è segnato ogni 5 settembre da un evento tanto simbolico quanto atteso: lo sparo dei mortaretti per annunciare che trasìu u misi a San Prazzitu. È il primo segnale che risveglia la memoria della comunità e dà il via a un conto alla rovescia carico di attesa e significato: tra un mese esatto sarà la festa di San Placido.

Preparativi antichi, attese senza tempo

Un tempo, questo giorno era l’avvio concreto dei preparativi, delle contrattazioni, l’inizio di una mobilitazione corale. Si montavano le logge di legno per ospitare i firanti della grande fiera, si stipulavano accordi con mastri pirotecnici e bande musicali, si allestivano le impalcature per le luminarie che avrebbero adornato le vie principali e il palco in piazza. Il campanile della matrice veniva costellato da migliaia di lucine elettriche che si sarebbero accese nei giorni di festa, rendendolo visibile anche nelle ore notturne, come una magia. A sostenere tutto questo non era l’amministrazione comunale, che si limitava a pochi contributi essenziali, ma la devozione popolare, organizzata dalla Confraternita del SS. Sacramento, i cui confrati passavano di casa in casa, nelle botteghe e nei circoli a raccogliere offerte. Era il popolo stesso a “costruire” la festa.

Nel frattempo, anche nelle case ci si preparava con la stessa intensità. Le donne cucivano abiti nuovi da sfoggiare nei giorni solenni, mentre gli uomini, aiutati da tutta la famiglia, mmazzavano ’u porcu allevato in casa per un anno intero cch’i favi e a canigghia. Niente era lasciato al caso. Anche il cibo, come i vestiti e i gesti, aveva un significato rituale: era memoria, sacrificio e condivisione.

I “doni” di settembre

Settembre portava altri doni. Nelle campagne si cutulavano le mandorle, un tempo abbondanti nel nostro territorio. Poi, in famiglia, si sgusciavano, si separavano dal mallo e si essiccavano al sole davanti agli usci e nei cortili. Infine si conservavano per durare tutto l’anno.

Nei vigneti a nord del paese, la vendemmia era una festa vera, fatta di fatica e gesti rituali. Famiglie intere si riunivano nei filari, assegnandosi ruoli e compiti precisi, tra animali da soma, cesti pieni d’uva e canti popolari. Era il trionfo della cooperazione e della fatica condivisa.

Oggi tutto è più veloce e last minute: con internet, tablet e smartphone gli eventi vengono pianificati e pubblicizzati via social e quel tempo lento e solenne sembra lontano. Eppure, settembre conserva ancora un’aura speciale: è il mese in cui si ritorna alla normalità dopo la sospensione estiva, si riprende la scuola, il lavoro, la vita sociale e la programmazione ecclesiale. A Biancavilla, invece, è ancora soprattutto il periodo prima di San Placido. Un mese che non guarda solo al futuro, ma affonda le sue radici in una memoria collettiva che ha plasmato l’identità del paese.

Una devozione con radici profonde

La figura di San Placido, monaco benedettino e martire, è da oltre quattro secoli il fulcro della devozione biancavillese. La tradizione vuole che, nel 1588, dopo il ritrovamento del corpo del santo a Messina, le sue reliquie venissero portate in processione nei principali centri della Sicilia. Il carro che trasportava le sacre spoglie aveva appena fatto tappa al monastero di Santa Maria di Licodia ed era diretto ad Adrano, senza fermarsi a Biancavilla, allora piccolo borgo di povera gente. Ma, giunto al confine tra i due territori, accadde qualcosa di prodigioso: il mulo si arrestò, impuntandosi, e nonostante ogni sforzo non volle più muoversi. Fu interpretato come un segno: il santo desiderava restare lì. Quel punto prese il nome di pidata di San Prazzitu, la pedata di San Placido.

È solo una leggenda – tramandata anche da Giuseppe Pitrè e di cui esistono più varianti – ma, come spesso accade, la forza del mito vale quasi quanto la verità storica. In essa si riconosce il bisogno della comunità di sentirsi scelta, benedetta, parte di una storia più grande. San Placido non è solo il protettore celeste, ma il simbolo di un’identità che ha saputo unire fede, lavoro, sacrificio e speranza. E anche se i tempi cambiano, settembre resta il mese in cui Biancavilla si raccoglie attorno alla sua memoria più viva. È il mese in cui il cielo si fa più terso, le prime piogge fecondano la terra e ogni cosa sembra ricominciare il suo ciclo. Ecco perché, ogni anno, quando i mortaretti del 5 settembre rompono il silenzio, non si annunciano solo dei preparativi: si riaccende il cuore pulsante dell’intera comunità.

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