Cronaca
Enza Ingrassia resta in carcere: «Una decisione presa a sua tutela»
Respinta dal Gip di Catania, Loredana Pezzino, la richiesta del legale della donna, che per lei aveva prospettato il trasferimento in una struttura protetta. Presentato ricorso al Tribunale del Riesame: «Una decisione -sottolinea l’avv. Cuscunà- strana e sbilanciata, ma sono fiducioso». di Vittorio Fiorenza Potrebbe esserci il rischio, in un momento di sconforto e […]


Enza Ingrassia, per decisione del giudice Pezzino, resta rinchiusa nel carcere di piazza Lanza
Respinta dal Gip di Catania, Loredana Pezzino, la richiesta del legale della donna, che per lei aveva prospettato il trasferimento in una struttura protetta. Presentato ricorso al Tribunale del Riesame: «Una decisione -sottolinea l’avv. Cuscunà- strana e sbilanciata, ma sono fiducioso».
di Vittorio Fiorenza
Potrebbe esserci il rischio, in un momento di sconforto e fragilità, adesso che sono passati alcuni giorni dall’accaduto, di gesti sconsiderati. Per questo, il Gip Loredana Pezzino, convalidando il fermo di Enza Ingrassia, la donna che ha confessato l’uccisione del marito, Alfio Longo, colpendolo con un ciocco di legno alla testa, simulando poi una rapina nella loro villa di zona “Vigne”, a Biancavilla, ha deciso di confermare la permanenza della 64enne nel carcere di piazza Lanza. Al contempo, emessa nei suoi confronti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Il legale, l’avv. Luigi Cuscunà, dopo la confessione resa dall’indagata, aveva chiesto gli arresti domiciliari in una comunità protetta (espresso l’auspicio in particolare dell’Opera Cenacolo Cristo Re di contrada “Croce al Vallone”).
«La decisione – ha spiegato il presidente dei Gip di Catania, Nunzio Sarpietro – è anche a tutela della donna per evitare che possa compiere atti di autolesionismo o esserne vittima. Prima di decidere diversamente occorrerà un quadro psicologico completo della signora».
L’avv. Cuscunà ha già presentato ricorso al Tribunale del Riesame. «È una decisione strana e sbilanciata -dice- si fa riferimento alla possibilità della reiterazione del reato (ma contro chi?), al pericolo di fuga (una casalinga di 64 anni?) o ad inquinamento probatorio (nonostante una confessione piena e davanti a motivazioni che stanno cominciando ad avere riscontri?). Insomma, siamo difronte ad una casalinga che aveva raggiunto l’apice della sopportazione non ad una killer. Sono da apprezzare le parole del presidente dei Gip sulle ragioni di tutela della donna (che però non mi pare di avere letto nell’ordinanza della Pezzino). Credo tuttavia -specifica l’avv. Cuscunà- che la tutela la si garantisca di più in una struttura protetta e non in una cella di un carcere. Vedremo adesso la decisione del Riesame, sono fiducioso».
In lacrime davanti al giudice
Nell’udienza di convalida di sabato, la 64enne, si era rivolta al giudice in lacrime: «Lo amavo, era pure premuroso con me, ma gli scatti violenti erano quasi quotidiani, adesso sono pentita, non lo rifarei». L’avv. Cuscunà aveva sostenuto la tesi dell’omicidio d’impeto, ricordando tuttavia le continue vessazione e i due aborti che l’uomo avrebbe provocato alla moglie, a botte, quand’erano giovani. Eppure chi conosce la coppia, riferisce «dei soldi spesi per visite e cure per avere un figlio». Dettaglio vero o una bugia per coprire l’impossibilità di una gravidanza, in conseguenza dei maltrattamenti?
Difficile stabilirlo. Così come molte altre schegge di vita lanciate in questi giorni da un inarrestabile frullatore di voci e dicerie. Certo è che non c’è stata mai una denuncia. Soltanto una o due volte, diciotto anni fa, la donna sarebbe andata al pronto soccorso di Biancavilla per i traumi subìti.
I rimpianti dei familiari
Tra i familiari, restano i rimpianti. E un nipote, Salvatore Pappalardo, affida la sua commozione ad un post su Facebook: «Sei stata la mamma di tutti noi nipoti, amati come i figli che non hai potuto avere. Perdonaci per non averti saputo aiutare. Soffriamo quando vieni chiamata adesso “gelida assassina”. In realtà non c’è mai stato nulla di gelido nei tuoi caldi abbracci e nelle tue dolci parole verso di noi. Perdonaci se non abbiamo saputo mettere la tua vita nelle nostre mani, tu che ci chiami leoni e non abbiamo saputo difenderti».
Indagini ancora aperte
Sul fronte delle indagini, si attende l’autopsia: Alfio Longo sarebbe stato colpito 3-4 volte alla testa con un ciocco di legno (lo stesso che lui aveva usato contro la donna alcune ore prima, dopo l’ennesimo litigio). L’uomo dormiva profondamente. La moglie, dopo il diverbio, lo avrebbe convinto –da verificare nell’esame autoptico– a prendere una pillola per tranquillizzarlo e farlo addormentare.
Quanto al ritrovamento della droga e delle due armi (di cui una in dotazione della polizia risultata rubata nel 1996), «la signora non ne sapeva alcunché», specifica il suo legale. Ma questo è un filone di indagine a parte. I carabinieri scavano nella vita di Alfio Longo. Si tenta di capire se avesse contatti con ambienti criminali e se per conto dei quali svolgesse –proprio perché perfetto insospettabile– attività di supporto, come l’occultamento di armi e la coltivazione di marijuana. Gli investigatori smentiscono categoricamente la voce del ritrovamento, nella villetta, di un’agenda con i nomi di esponenti mafiosi locali.
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Cronaca
Aggredisce e minaccia la madre: «Ora t’ammazzo», arrestato un 35enne
Intervento dei carabinieri, a seguito di un’accorata richiesta di aiuto di una donna maltrattata

La telefonata ai carabinieri è arrivata da una casalinga 63enne. Un’accorata richiesta di aiuto. Ancora una volta, la donna era stata picchiata dal figlio, che pretendeva denaro per l’acquisto di alcol, droga o giocare ai video poker. Immediato l’intervento dei militari: arrestato un 35enne per maltrattamenti contro familiari ed estorsione.
Appena arrivati nell’abitazione, i carabinieri hanno trovato la donna attorniata dai familiari, marito e tre figli, tra cui il 35enne. La donna, che sin dà subito è apparsa emotivamente provata, pur non volendo affidarsi alle cure dei sanitari, nonostante mostrasse i segni delle percosse, soprattutto sulle braccia e sul collo, ha comunque deciso di confidarsi con i militari, raccontando quanto appena accaduto.
Dalla ricostruzione dei fatti, è quindi emerso come il figlio avrebbe da lei preteso l’ennesima somma di denaro, questa volta di 30 euro, che sarebbe riuscito ad ottenere solo dopo averla aggredita. In quel frangente, provvidenziale sarebbe stato l’intervento del padre 70enne, che in difesa della moglie, sarebbe intervenuto bloccando l’uomo.
Il 35enne, a quel punto, soddisfatto, dopo essere uscito per alcune ore, sarebbe rincasato solo in serata, completamente ubriaco, dando il via ad un nuovo litigio. Dopo aver fatto cadere una bottiglia di birra sul pavimento, si sarebbe infatti nuovamente scagliato contro la povera madre, dandole la colpa dell’accaduto. La reazione dell’uomo sarebbe stata minacciosa: «Colpa tua se la birra mi è caduta a terra, ora t’ammazzo». E poi si sarebbe scagliato contro una porta, danneggiandola insieme ad altre suppellettili.
Effettivamente, anche alla presenza dei militari, il 35enne non si è calmato, proseguendo anzi con le minacce alla madre: «Appena torno (dal carcere) t’ammazzo».
La donna aveva già presentato una denuncia nei confronti del figlio per analoghi fatti. Motivo per cui, i carabinieri hanno stavolta arrestato il 35enne, trasferendolo nel carcere di piazza Lanza, a Catania.
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