Cultura
Gerardo Sangiorgio, l’umanesimo che cura le piaghe della Storia
Sono già trascorsi ventidue anni da quando Biancavilla perdeva Gerardo Sangiorgio, uomo di grande statura morale e culturale, di onestà e giustizia di vita. Ciò è evidente nelle vibranti pagine delle “Memorie di prigionia” nei lager nazisti, su cui Biancavilla Oggi si è soffermata nella ricorrenza della Giornata della Memoria, notevoli, oltre che per la dolorosa testimonianza, anche per lo stile, che più volte indulge alla commozione, mai all’odio, fino a farsi non di rado poesia. I lusinghieri giudizi di insigni intellettuali, presenti in “Antologia della memoria per Gerardo Sangiorgio” (Biancavilla 2011), sottolineano questo singolare aspetto.
A Gerardo si deve, oltre alle “Memorie”, anche una cospicua produzione letteraria, celebrata da importanti convegni e raccolta nel volume “Quando l’algente verno…” (Biancavilla 2000), che vanta l’introduzione di Salvatore Silvano Nigro. Auspicabile sarebbe la pubblicazione dell'”Opera omnia” e dei numerosi inediti, che di certo, oltre ad assolvere ad un dovere morale, è anche strumento efficace contro l’oblio che minaccia di scendere sulla sua figura, motivo della giusta indignazione di Lucia Minissale nel suo intervento del 4 febbraio su queste pagine.
Sangiorgio fu autore di erudite indagini sulla storia dell’amata Biancavilla, di scritti di critica letteraria e di sillogi poetiche, che si segnalano per l’altezza dello stile e la mania di fine cesellatore della parola, valorizzata in tutte le potenzialità foniche e semantiche: “La pietra polita del mare” (1971), “Cuore che narra” (1975), “Cielo e innocenza” (1980), “Dal cielo meco tu torni a piangere”, “Poesie religiose”. Esse gli valsero anche prestigiosi riconoscimenti, fra cui il Primo premio speciale al Concorso internazionale letterario “Stella d’Italia”.
Tutti gli scritti di Gerardo rischierebbero, a mio parere, di non essere compresi a fondo senza la tragica esperienza del lager, vissuta, lo si è visto, come privazione di umana dignità. Essa si trova riversata in ogni pagina sotto mutate forme, che trovano il loro punto di convergenza nella ricerca dell’uomo, degli interrogativi radicali e dei valori universali, gli unici in grado di restituire dignità e consapevolezza di vita.
Giungeva così a vedere, in maniera rivoluzionaria per il suo tempo, squarci di religiosità in Baudelaire e nella “Ginestra” di Leopardi, e a riconoscere la grandezza della poesia crepuscolare di Gozzano; ad aggrapparsi contro il limbo di precarietà fra morte e vita, fra bene e male, alla certezza dell’irripetibilità del singolo e della capacità della memoria di eternare persone e cose; a dissipare le fitte nebbie del mistero della vita con l’incrollabile fede in Dio, vissuta come esperienza totalizzante (“Dio, mio tutto!” apre, non a caso, “La pietra polita del mare”) e come Amore, alimento vero della vita. Essa inserisce la sua produzione nell’alveo della poesia esistenzialista di impronta cristiana del secondo Rebora, di Luzi e della prosa, forse ancora poco nota, del nuorese Salvatore Satta.
Tutta la vita di Gerardo, “finissimo intellettuale di formazione cristiana” (A. Tabucchi), delegato regionale dei Terziari francescani, Cooperatore e Zelatore Salesiano, collaboratore di Azione francescana, Presidente territoriale dell’UCIIM e insegnante, uno degli “uomini sacrati” rivestiti di un’alta missione educativa (“Ai vincitori del Concorso Magistrale” di “La pietra polita del mare”), fu un tentativo continuo di dare fulgida forma a questo Amore.
È tale visione nobile della vita, severo monito all’uomo di oggi, ridotto a “infra-uomo” (“Un pezzo di pane calpestato” di “La pietra polita del mare”), che rende amaro il vuoto e immortale la figura di Gerardo.
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Cultura
Ristrutturati i locali dell’ex macello: intitolati a cinque illustri biancavillesi
Si tratta di Placido Benina, Giosuè Chisari, Dino Sangiorgio, Giuseppe Tomasello, Salvatore Ventura
Completati i lavori di ristrutturazione all’ex macello, in via Taranto, a Biancavilla. La struttura potrà essere destinata di nuovo ad attività sociali. L’amministrazione comunale ha deciso di ospitare gruppi giovanili ed associazioni, assegnando loro le relative stanze. Una di queste sarà affidata – come aveva annunciato il sindaco Antonio Bonanno – alla sezione “Nino Tropea” dell’Avis di Biancavilla. Le altre dovrebbero essere destinate a gruppi sulla base di un bando pubblico.
Le singole stanze sono state intitolate a cinque illustri biancavillesi, ormai scomparsi, che si sono distinti nell’ambito dell’arte, della musica, della poesia e del teatro.
Si tratta di Placido Benina (poeta dialettale), mons. Giosuè Chisari (maestro di musica, organista della Cattedrale di Catania, docente all’Istituto musicale “Vincenzo Bellini”, direttore del museo belliniano e direttore del complesso bandistico di Biancavilla), Dino Sangiorgio (maestro d’arte, restauratore e docente di educazione artistica), Giuseppe Tomasello (poeta dialettale e autore teatrale) e Salvatore Ventura (attore dialettale della compagnia teatrale biancavillese “Quattro soldi”).
Ad ogni stanza è associata una targa con i loro nomi. Un modo semplice e simbolico per tenere viva la memoria di quanti si sono distinti nei rispettivi ambiti.
L’inaugurazione dei locali è fissata per sabato 25 ottobre, alle ore 17. «Un nuovo spazio di incontro, cultura e crescita per la comunità»: così lo ha definito il Comune, chiamandolo “Casa della gioventù”.
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Cultura
Alfio Bellarmino, il Maestro di musica dimenticato: brillò in Italia e all’estero
Nato a Biancavilla nel 1891, fu un compositore poliedrico che spaziò dall’operetta alla musica sacra
Il sipario di questo racconto si alza su un’epoca in cui la melodia e il bel canto erano il cuore pulsante dell’intrattenimento. Al centro del palco un nome che, ai suoi tempi, risuonava tra i teatri e le sale da concerto: Alfio Bellarmino. Oggi, purtroppo, il suo è un nome che non ci dice più nulla, quasi un’ombra persa nel grande archivio della storia musicale. Eppure, questo Maestro, nato a Biancavilla e formatosi a Catania, fu un compositore poliedrico che spaziò dalla leggerezza dell’operetta alla solennità della musica sacra. Su Biancavilla Oggi ne tracciamo il profilo.
Una carriera tra acclamazioni
La sua carriera artistica prese il volo nel mondo dell’Operetta, un genere in cui la sua maestria lo elevò rapidamente tra le figure più richieste dell’epoca. Molto apprezzato tra la Lombardia e la lontana Jugoslavia, il suo primo trionfo arrivò nel 1918 con l’operetta in tre atti, La pianella. Fu un successo clamoroso che ebbe luogo nel piccolo Teatro Comunale di Albonese, in provincia di Pavia, dove l’opera fu replicata per ben dieci serate consecutive.
Albonese divenne il suo trampolino di lancio: qui replicò l’identico successo con la successiva Cinesina, sempre in tre atti. Questi successi diedero a Bellarmino la spinta per un’importante produzione musicale che risultò determinante per il proprio futuro. Nacquero così, quasi di getto, altre operette che lo portarono in giro per l’Italia e oltre: Suzy rappresentata a Trieste, Renato da Prignol nell’allora Pisino (Croazia), Ventaglio rosa ancora ad Albonese e l’atto unico Cip cip a Trieste.
Ma la sua vena artistica lo spinse oltre al teatro leggero. Presto, nel cammino verso la maturità, emerse in lui la necessità di esplorare orizzonti più vasti, quelli dell’Opera e della Musica Sacra. La sua attività si fece senza soste, spaziando dalla musica da camera, alla romanza, dai quartetti per archi alle composizioni per Banda.
In Istria la sua prima opera lirica
Il 1924 segnò una svolta. A Parenzo, in Istria, andò in scena Eufrasia, la sua prima opera lirica, subito acclamata dalla critica come uno dei suoi capolavori. Questo fu l’inizio di una serie di composizioni di alto profilo, tra cui l’opera La notte di Suleica e soprattutto il poema sinfonico Cristhus (1926), che inaugurò la sua lunga e sentita produzione di opere dedicate alle Sante Agata, Venera, Lucia e Cecilia.
Quest’ultima, Cecilia, fu rappresentata per la prima volta (1946) a Catania presso il Teatro Sangiorgi, successivamente (1948) al Teatro Massimo Bellini. Mentre Lucia, la cui prima esecuzione avvenne presso la monumentale chiesa di San Nicolò l’Arena (1926), fu riproposta dopo molti anni presso la chiesa dei Minoriti (1960) ed eseguita dall’Orchestra del Teatro Massimo Bellini, diretta per l’occasione dallo stesso Bellarmino.
Direttore del Corpo Musicale Civico di Catania
Nel 1951 viene nominato, dall’amministrazione comunale catanese, direttore del Corpo Musicale Civico di Catania. Il Maestro di origini biancavillesi raccoglie, così, un’importante eredità lasciata dagli illustri predecessori: Domenico Barreca, Giovanni Pennacchio e Antonio D’Elia, oggi ricordati tra le più autorevoli personalità che fanno parte della storia della banda musicale in Italia.
Alla direzione del Corpo Musicale Civico catanese, Bellarmino ebbe l’opportunità di eseguire due sinfonie da lui stesso composte: Il Trionfo di Cesare e la Sinfonia dell’Ottocento, eseguite al Giardino Bellini di Catania. Nonostante l’impegno profuso, quella del Maestro fu un’esperienza breve e segnata, pare, da incomprensioni che lo costrinsero a lasciare dopo soli tre anni.
Per Bellarmino, non fu l’unica esperienza alla direzione di un complesso bandistico: diresse, per un periodo imprecisato di tempo, anche la Banda Musicale di Trecastagni, città in cui egli stesso aveva residenza.
«Quell’aria bonariamente austera…»
Nell’ultima parte della sua vita, pur rifiutando l’ambita direzione della Filarmonica “La Valletta” di Malta, Bellarmino scelse di dedicarsi interamente alla didattica, conseguendo la cattedra di musica e canto. Fu nell’insegnamento che spese gli ultimi anni di vita, fino alla sua scomparsa che avvenne nel maggio del 1969.
Quando fu commemorato presso l’Istituto “Turrisi Colonna”, dove aveva insegnato per anni, i suoi allievi ne ricordarono non solo l’indubbia preparazione, ma anche l’innata signorilità: «Quell’aria bonariamente austera da cui trasparivano i tratti nobiliari dell’antico lignaggio». Le sue spoglie mortali riposano presso il cimitero comunale di Trecastagni. La lapide recita così: “Grande Ufficiale Conte M° Alfio Bellarmino – 3 febbraio 1891 – 28 maggio 1969”. Alfio Bellarmino non fu solo un compositore; fu un ponte tra generi: il brillante e il sacro, che hanno caratterizzato una ricca produzione artistica che oggi attende solo di essere riscoperta.
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