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Storie

Angelo e Mattia, l’amicizia come cura (con una domanda che spezza il cuore)

Giornata mondiale della Salute mentale: il dolore silenzioso della mente e il ruolo del “Cenacolo Cristo Re”

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In questa “Giornata mondiale della Salute mentale”, nel dedalo delle relazioni comunitarie, ci piace fare emergere storie come quella di Angelo e Mattia. Eccoli, in foto, qui sopra, in una giornata passata al lago Pozzillo. Due giovani che, pur provenendo da luoghi diversi della provincia di Catania, hanno trovato nella convivenza presso il “Cenacolo Cristo Re” una solida amicizia. Parlano, giocano, si aiutano, si difendono. Si arrabbiano. Ma stanno insieme. Eppure, anche questa storia è attraversata da una domanda che spezza il cuore: “Quando arriverà il momento delle dimissioni… cosa resterà dell’amicizia tra Angelo e Mattia?”.

In comunità si impara a vivere insieme, ma poi bisogna imparare anche a separarsi. E a reinserirsi in una società che spesso non è pronta ad accogliere. Il 10 ottobre è una data da segnare, ogni anno, per ricordare ciò che troppo spesso rimane invisibile: il dolore silenzioso della mente. La Giornata Mondiale della Salute Mentale, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nasce con l’intento di sensibilizzare sull’importanza del benessere psichico e sul diritto universale alla cura.

Le diagnosi più comuni? Sindromi nevrotiche, disturbi somatoformi, disturbi dell’umore. Ma a colpire ancora di più sono i dati relativi agli adolescenti, la fascia d’età più fragile e oggi anche la più esposta. A Catania, tra il 2018 e il 2022, si è registrato un aumento del 516% nelle richieste d’aiuto da parte dei giovani, con un’impennata dei disturbi comportamentali. Un dato che non può lasciare indifferenti.

Il ruolo del “Cenacolo”

Nel cuore della complessa rete di servizi ci sono le Comunità Terapeutiche Assistite (CTA). Spazi di cura e riabilitazione, dove la terapia si intreccia con la vita quotidiana, dove la condivisione diventa strumento di guarigione. Il “Cenacolo Cristo Re” di Biancavilla è una di queste. Qui, la vita comunitaria non è solo terapia: è relazione, amicizia, sostegno reciproco. È un luogo in cui si impara a vivere di nuovo. La comunità è un luogo di cura, ma anche di affetti. Dove i legami nati tra gli ospiti diventano fondamenta emotive su cui ricostruire sé stessi.

Tuttavia, non tutte le dinamiche che si sviluppano all’interno della comunità sono funzionali al processo di cura. Come ogni microcosmo umano, anche le comunità ospitano dinamiche complesse: relazioni affettuose e sincere, ma anche dipendenze affettive, manipolazioni, conflitti. Perché qui vivono persone ferite, spesso sole, alla ricerca di un punto di riferimento stabile, e questo può portare a tensioni e dinamiche disfunzionali.

Doppia diagnosi: la sfida più difficile

Una delle problematiche più urgenti oggi nelle CTA è la doppia diagnosi, ovvero la compresenza di un disturbo psichiatrico e una dipendenza da sostanze. Questi pazienti necessitano di percorsi integrati, che richiedono non solo l’intervento psichiatrico, ma anche quello medico, sociale e – in molti casi – giudiziario.

Eppure, molte strutture – è un problema nazionale – non sono adeguatamente formate o attrezzate per gestire questa complessità. Servono investimenti, formazione, ma soprattutto una visione sistemica: la salute mentale non si cura da sola, e non si cura solo con i farmaci.

Serve una comunità che cura

La Giornata Mondiale della Salute Mentale non è solo un momento simbolico: è un appello a non lasciare indietro nessuno. Dietro ogni numero c’è una persona. Dietro ogni ricovero, una storia. Dietro ogni struttura, professionisti che lottano ogni giorno contro lo stigma, il silenzio e la burocrazia. Serve un cambio di passo culturale e politico: più prevenzione, più ascolto, più presenza nei territori, soprattutto per i più giovani. E serve che la comunità – quella vera, fatta di cittadini – diventi parte attiva del processo di cura, perché la salute mentale non è solo un problema sanitario: è una responsabilità collettiva. Perché prendersi cura della mente è un diritto. Farlo insieme è un dovere.

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Fu esponente Dc e direttore dell’Ufficio Postale: è morto a 90 anni Alfio Lanaia

Il sindaco Bonanno: «Biancavilla perde una figura perbene, coerente nei valori e attenta alla nostra città»

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È morto all’età di 90 anni, Alfio Lanaia. Nome e volto molto noti a Biancavilla per i ruoli pubblici che ha assunto sia in ambito politico che professionale. Esponente della Democrazia Cristiana, fu più volte consigliere comunale. Carica ricoperta dalla fine degli anni ’80 fino alla prima metà degli anni ’90, prima dell’era dell’elezione diretta dei sindaci. In anni successivi, fu anche segretario della Margherita, formazione moderata dello schieramento del Centrosinistra.

Lanaia fu per tanti anni direttore dell’Ufficio Postale di Biancavilla, ruolo che più di ogni altro gli ha permesso di essere a contatto quotidiano con i biancavillesi, che lo apprezzavano per i suoi modi e la sua disponibilità.

Il cordoglio del sindaco Bonanno

Sentimenti di cui si fa interprete il sindaco Antonio Bonanno, nel suo messaggio di cordoglio rivolto alla famiglia: «Per tutta la vita, si è speso con passione e senso civico per la nostra comunità. Lanaia è stato un cittadino esemplare, sempre pronto a mettere la sua esperienza e il suo impegno al servizio del bene comune».

E poi i ricordi personali del primo cittadino: «Lo conoscevo da tanti anni e l’ho sempre apprezzato sul piano umano: per la sua gentilezza, il rispetto verso gli altri, la sobrietà nei toni e nei modi, la disponibilità all’ascolto. Ho sempre stimato il suo modo garbato e deciso di contribuire alla crescita della città con idee, proposte e partecipazione attiva».

«Biancavilla – sottolinea il sindaco – perde una figura perbene, coerente nei valori e attenta al destino della nostra comunità». I funerali sono stati fissati nella parrocchia di San Salvatore, alle ore 16 del 4 settembre.

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Il dott. Alessio Leotta: «Possessioni demoniache? No, psicopatologie»

Studio condotto dal professionista biancavillese: l’importanza di affidarsi agli psicoterapeuti

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La possessione demoniaca: un disturbo psicopatologico, un fenomeno culturale o entrambi? Su questo interrogativo uno studio è stato condotto dal dott. Alessio Leotta, psicologo e psicoterapeuta di Biancavilla e ipnotista della scuola di Milton Erickson. L’indagine, nell’ambito del master in “Psicodiagnostica clinica e forense”, ha riguardato aspetti patologici che si intrecciano a credenze, alimentate ancora oggi anche dalle autorità religiose.

Biancavilla è meta di persone provenienti da tutta la Sicilia, convinte di essere possedute da forze demoniache o vittime di malefici. Nella chiesa “Tutte grazie”, per scelta ecclesiastica, si svolgono preghiere di liberazione e, in alcuni casi, rituali di esorcismo. Così, centinaia di persone obiettivamente bisognose di cure si affidano al sacerdote e non allo psicoterapeuta.

«Nella mia tesi – spiega il dott. Alessio Leotta – ho cercato di chiarire i legami tra possessione diabolica e psicopatologia. Ho messo in luce come la possessione possa diventare un modo per spiegare il proprio disagio, deresponsabilizzandosi. Quando la sofferenza è insopportabile o socialmente inaccettabile, il soggetto può trovare una spiegazione nella presenza di un “demone”, attribuendogli la causa del suo male. È un comportamento che trasforma il dolore interiore in qualcosa di esterno, per trovare un senso e, spesso, anche una forma di sollievo o di accoglienza sociale».

Lo psicoterapeuta biancavillese ha seguito due casi clinici: due donne (non biancavillesi) che presentavano “sintomi” attribuiti da loro stesse alla cosiddetta “possessione diabolica”. In entrambi i casi, in realtà, un esame psicodiagnostico approfondito ha mostrato la presenza di disturbi dissociativi e tratti isterici, spesso legati a traumi o a condizioni di stress estremo. «Sono casi – spiega il dott. Leotta con il dovuto approccio scientifico – dimostrano come la “possessione” possa mascherare problematiche psicologiche profonde, e quanto sia importante non fermarsi all’apparenza, ma indagare più a fondo per aiutare davvero la persona».

Lo studio evidenzia, quindi, come la “possessione diabolica” si collochi su un continuum fra cultura e patologia. «Non possiamo pensare – sottolinea lo psicoterapeuta – di risolvere il fenomeno semplicemente, bollando tutto come superstizione, ma non possiamo nemmeno ignorare il rischio di trascurare quadri clinici seri. Attraverso la condizione di “possessione”, il soggetto comunica il suo dolore, i suoi conflitti, le sue paure».

Per affrontare situazioni di questo tipo occorrono un approccio multidisciplinare e un lungo percorso di terapia. Arrivare alla consapevolezza di affidarsi a un professionista è il primo, difficilissimo passo. Senza il quale, la patologia resta lì e, anzi, viene alimentata e aggravata da residuati culturali fuori dal tempo. Un loop da interrompere.

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