Chiesa
La Madonna della Catena a Biancavilla tra devozione popolare e antichi riti
Si deve ai Mercedari scalzi e al marchese Pietro Puglisi l’impulso alla venerazione nella chiesa di via Inessa
Nel corso di ricerche che abbiamo effettuato a Biancavilla è emersa una radicata devozione nei confronti della Madonna della Catena. Tale sentimento seppur diffuso non è manifestato in altro modo se non tra le mura domestiche e in occasione della festa del 5 agosto. Proprio questa ricorrenza riesce ad attirare fedeli che fin dalle prime luci dell’alba arrivano da tutti i quartieri di Biancavilla, anche a piedi nudi. Lo fanno per adempiere ad un voto e partecipare a una delle messe che vengono celebrate.
La devozione nata in Sicilia
Il culto verso la Madonna della Catena ha origini a Palermo nel 1392, a seguito della condanna a morte di tre giovani.
Il giorno dell’esecuzione, quando questi venivano portati presso la Piazza della Marina per essere giustiziati, irruppe un tremendo temporale che li costrinse a rifugiarsi in una chiesa e rimandare l’esecuzione al giorno dopo. I condannati furono legati accuratamente e le guardie si abbandonarono al sonno. Ma i poveri malcapitati, che continuavano a professarsi innocenti, si rivolsero alla Santa Vergine venerata in quel luogo e mentre stavano pregando, le catene miracolosamente si ruppero senza fare alcun rumore, così che essi poterono scappare via.
Accortisi dell’accaduto, prima che il sole sorgesse le guardie si misero sulle loro tracce e li raggiunsero per giustiziarli. A quel punto il popolo, considerando il prodigio, volle che fosse consultato il re Martino I.
Questi, venendo a conoscenza dei fatti, mise in libertà coloro che la stessa Madre di Dio aveva graziato. Da quel giorno si sparse in Sicilia e in tutta l’Italia meridionale la devozione alla Madonna che aveva liberato dei prigionieri incolpevoli dalle catene.
L’ordine Mercedario, fondato con lo scopo di riscattare i cristiani fatti schiavi dai musulmani, la scelse come patrona e contribuì a diffonderne la venerazione.
La devozione a Biancavilla
La Vergine della Catena era anche la patrona della nobile famiglia dei Moncada (o di Monte Catena), i conti di Adrano che accolsero i profughi albanesi fondatori della nostra città.
A Biancavilla, la devozione alla Madonna della Catena ebbe un forte incremento per la presenza dei Padri Mercedari Scalzi, chiamati dal marchese don Pietro Puglisi ad officiare presso la cappella di famiglia. Nonostante poi il vescovo certosino Raimondo Rubí y Boxadors nel 1728 decretò che fosse nullo l’ospizio eretto dai frati di questo ordine mendicante (che quindi dovettero abbandonare il nostro paese), nella Chiesa della Mercede continuò ad essere venerata l’artistica statua in legno della Madonna col Bambino che tiene nelle mani una catena.
Nel corso del Settecento, la Chiesa di via Innessa (antica via Consolare) fu arricchita di affreschi da parte del pittore Giuseppe Tamo e di notevoli stucchi e statue in gesso che la rendono unica e tra le più belle del paese. Nell’Ottocento il concittadino Placido Rapisarda dipinse la tela che ancora oggi vediamo sull’altare maggiore. Nel 1870 fu chiusa al culto e i biancavillesi furono costretti ad andare nella vicina Adrano, dove la Madonna è venerata nell’ambito dei festeggiamenti patronali. Fino ai giorni nostri, uno spontaneo pellegrinaggio di fedeli parte nella notte del 5 agosto per raggiungere a piedi il paese limitrofo.
A Biancavilla l’edificio sacro fu riaperto nel 1892, grazie anche all’opera della neo costituita Confraternita della Mercede.
Riti e segni che sanno di antico
Nel 1999, la signora Giuseppa Leocata ci riferì una preghiera conosciuta dalle donne biancavillesi. La recitavano per allontanare le disgrazie della vita o quando si aveva una qualsiasi afflizione, confidando nell’aiuto divino.
Matri santa di la Catina
siti vui la ma Riggina.
Accittati i ma prieri
sugnu sutta i vostri peri.
Preju a vui di cca jusu
ca ‘u ma cori è cunfusu
…
La santa catina
mi ni scatina.
Ottenuta una grazia che si reputava necessaria (una guarigione, uno scampato pericolo…), oppure raggiunto un obiettivo importante della propria vita (matrimonio, realizzazione della propria casa…), tra i tanti voti che, principalmente le donne, elevavano alla Bedda Matri ‘a Catina c’era quello del viaggio a piedi (spesso scalzi). Oppure quello di cogghiri ‘na missa (si chiedeva al vicinato e ai parenti un’offerta da dare al sacerdote per celebrare la messa). O ancora quello di offrire i propri capelli raccolti in una treccia, poi tagliata e portata in chiesa. Ancora oggi si portano fiori e candele presso il suo altare e si donano oggetti preziosi personali.
Gesti antichi, che vanno scomparendo definitivamente ma che trovano fondamento nel bisogno ancestrale da parte dell’uomo di una presenza soprannaturale che possa venire in aiuto ai bisogni umani. Segni e rituali attraverso i quali si voleva chiedere a Dio, alla Vergine e ai Santi una forza che si avvertiva di non possedere, per rendere meno difficile e meno tragica l’esistenza. E spesse volte la grazia tanto richiesta e desiderata non tardava ad arrivare.
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Chiesa
Tre giorni di celebrazioni con la Madonna della Medaglia miracolosa
La statua sarà accolta nella parrocchia dell’Annunziata: tappa del pellegrinaggio nazionale
Dopo la pausa estiva riprende nell’arcidiocesi di Catania il pellegrinaggio nazionale della statua della Madonna della Medaglia Miracolosa, promosso dai Missionari Vincenziani d’Italia. Dal 23 al 26 ottobre la sacra effigie sarà accolta nella parrocchia dell’Annunziata di Biancavilla per la tappa etnea della “Tre giorni con Maria”. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2020 con la benedizione di papa Francesco e che accompagnerà le diocesi italiane fino al bicentenario delle apparizioni a Santa Caterina Labouré, nel 2030.
La statua arriverà al Belvedere giovedì 23 ottobre, alle ore 18. Venerdì 24 ottobre, in mattinata, visita delle scuole cittadine. Pomeriggio, catechesi, preghiera e animazione per i bambini e ragazzi dell’oratorio parrocchiale guidato dai padri missionari e dalle suore.
Sabato 25 ottobre, visita alla caserma dei carabinieri e alla scuola cattolica “Immacolata alla Badia”. A seguire, incontro con l’amministrazione comunale, il Consiglio Comunale e la Polizia locale. Nel pomeriggio, Rosario animato dal Cgs Life con la partecipazione delle realtà giovanili cittadine.
Domenica 26 ottobre, in mattinata benedizione dei bambini, delle donne in gravidanza e delle neo mamme e consegna della medaglia “miracolosa”. A mezzogiorno, la statua della Madonna sarà trasferita a Villa delle Favare per la “Festa del Ciao”. Pomeriggio processione della statua della Madonna per via Vittorio Emanuele fino in basilica.
«È un’occasione di grazia e di ascolto, soprattutto per chi vive momenti di difficoltà», afferma padre Mario Sirica CM, responsabile del pellegrinaggio. Il parroco don Giosuè Messina sottolinea il legame tra la visita mariana e il cammino dell’Anno Santo parrocchiale: «Chiediamo a Maria di guidarci a Cristo e alla sua misericordia».
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Chiesa
Quella volta che Padre Pio urlò alla suora: «Vigliacca! Torna a Biancavilla!»
Il monastero di Santa Chiara compie 90 anni: un episodio lega la sua fondazione al frate di Pietrelcina
Biancavilla e padre Pio: sì, proprio il frate di Pietrelcina. C’è un episodio che lega lui e la nostra città, più precisamente il monastero di Santa Chiara. E lo raccontiamo su Biancavilla Oggi, adesso che l’importante struttura religiosa compie 90 anni dalla sua fondazione.
È dal 1935, infatti, che Biancavilla custodisce un’anima viva, silenziosa e operosa: quella delle Clarisse. Nascoste dietro le grate della clausura, le “Sorelle Povere” di Santa Chiara continuano ad essere un faro spirituale e umano per l’intera comunità. Abbiamo incontrato la madre badessa, suor Aurora, e suor Cristiana, badessa emerita. Le loro parole raccontano non solo una storia di fede, ma una presenza sociale profondamente radicata nel territorio.

Una chiamata e una sfida
Era il 1935 quando quattro Clarisse del Monastero di San Quirico ad Assisi risposero all’appello di Mons. Gaetano Messina, biancavillese e futuro prevosto della Chiesa Madre, che le invitò a fondare una comunità nel piccolo paese etneo. Nessuna di loro conosceva il luogo, ma tutte partirono con coraggio.
I primi tempi furono tutt’altro che semplici. L’accoglienza iniziale, calorosa ma effimera, si spense presto: i pochi beni donati — quattro tavole con un saccone di crine usato come letto, due cuscini, quattro sedie e un vecchio tavolo con un lume a petrolio — furono ritirati il giorno seguente. Le sorelle rimasero con poco o nulla.
In preda allo sconforto, la fondatrice Chiara Fortunata si mise in viaggio verso Assisi, decisa ad abbandonare tutto. Ma un incontro inatteso cambiò il corso degli eventi. Durante una sosta, volle confessarsi con Padre Pio da Pietrelcina. Il frate, appena la intravide, uscì dal confessionale e le gridò: “Vigliacca! Torna a Biancavilla!”
Quelle parole furono una scossa spirituale potente. Da quel momento, un nuovo inizio. «Dio richiede solo la fede: al resto pensa Lui», ricordano oggi le sorelle, citando la frase che, da allora, guida la loro comunità.

Una presenza che attraversa il tempo
Negli anni Quaranta, i venti di guerra portarono con sé povertà e difficoltà. Eppure, la comunità visse una stagione di floridezza, grazie al numero crescente di vocazioni, che in pochi anni arrivarono a quaranta. In quel periodo, molti bussavano alla porta del monastero in cerca di aiuto: e nessuno restava fuori. La Provvidenza — raccontano — non ha mai fatto mancare il necessario, né alle monache, né a chi cercava conforto.
Terminata la guerra, cominciò la ricostruzione. Non solo di muri, ma soprattutto di anime ferite. Le sorelle si fecero vicine alle famiglie, alle madri, ai figli, offrendo sostegno morale e aiuto concreto.
Il lavoro non mancava: le Clarisse si specializzarono nel cucito e nel ricamo — racconta suor Cristiana — confezionando paramenti sacri e indumenti liturgici, che permisero loro di mantenersi.
Nel 1970, padre Gabriele Maria Allegra — oggi Beato — visitò il monastero, e nel 1973 vi tornò per una toccante conferenza sulla Sacra Scrittura. In segno di gratitudine, lasciò il suo cingolo, oggi custodito come una preziosa reliquia.

Oggi: clausura aperta alla comunità
Il Monastero di via San Placido, oggi, è molto più di un luogo di preghiera. È un centro spirituale aperto alla comunità, soprattutto in occasioni significative: ritiri, celebrazioni, esercizi spirituali per giovani, incontri tematici. Pur vivendo in clausura, le sorelle non sono isolate: la loro presenza si percepisce, si sente, si respira.
«La Chiesa è come un grande albero. Ogni ramo rappresenta una forma di vita suscitata dallo Spirito Santo. Il nostro è quello della povertà, dell’unità, della preghiera e della contemplazione», spiega suor Aurora.
Il carisma clariano — eredità di Santa Chiara d’Assisi — è una via di radicalità evangelica fatta di essenzialità, silenzio e ascolto. In un mondo frenetico, può sembrare lontano. Eppure, proprio per questo, è forse la risposta più autentica al nostro tempo. Quando si chiede come trasmettere oggi il messaggio francescano ai giovani, le sorelle non parlano di eventi o strategie, ma di ascolto autentico. «Dio ha un progetto d’amore su ogni giovane. Sta a noi fermarci e chiederci: Signore, cosa vuoi che io faccia?».
È una spiritualità dell’interiorità, che non chiede performance, ma presenza. Una chiamata alla libertà profonda. In un’epoca dove tutto grida, le Clarisse propongono un’alternativa silenziosa ma potente: il coraggio di fermarsi, ascoltare, cercare senso. In un mondo segnato da individualismo e frammentazione, la loro vita comunitaria, stabile, dedicata alla preghiera e al bene degli altri, rappresenta un modello controcorrente, ma profondamente umano.
A 90 anni dalla loro fondazione a Biancavilla, le Clarisse non celebrano se stesse. Celebrano una fedeltà: quella di Dio, che guida e sostiene. E lo fanno come sempre, senza clamore, dietro grate che non sono una barriera, ma una soglia. Una soglia da cui, da novant’anni, si irradia una luce nascosta, ma visibile. A chi sa vedere.

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